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Scuola. Niente decreto e assalto vaticano alla diligenza

Il dittatorello di Pontassieve frena sulla scuola. Dopo aver tanto strepitato sul “fare presto”, pompando come “buona scuola” un progetto di legge che la distrugge, ha improvvisamente rinunciato all’arma atomica del decreto legge. Il consiglio dei ministri di oggi, infatti, approverà soltanto un “disegno di legge”, che quindi affronterà i tempi di discussione parlamentare, con un ovvio rallentamento dell’iter.

La motivazione ufficiale è “coinvogere le opposizioni nelle riforme”, forse anche per ridurre la portata delle accuse di dispotismo che salgono sempre più spesso nei suoi confronti (persino da Laura Boldrini, che è tutto dire…). Ma non si può sottacere invece il pesante pressin del Vaticano per moltiplicare i già vasti finanziamenti alle scuole private, settore in cui il pretame rappresenta una maggioranza schiacciante.

Ieri è stato fatto girare un appello firmato da 44 deputati di partiti della maggioranza a sostegno del “pluralismo e della libertà di educazione”. Argomento vecchio sempre portato a sostegno della “parità” tra scuola pubblica e privata, intesa banalmente come finanziamento.Si può giustamente eccepire: ma vi venisse un colpo, incassate rette più che sostanziose dai vostri “clienti” e volete anche (più) soldi pubblici? I finanziamenti alle scuole private sono infatti regolarmente cresciuti, di “riforma” in “riforma”, di pari passo con lo smantellamento della scuola pubblica. Ora il Vaticano cerca la “soluzione finale”: la parità di stanziamento pubblico, a favore delle proprie scuolette (non è un mistero che la qualità dell’istruzione “privata” sia inferiore a quella pubblica, in base al principio per cui “il cliente ha sempre ragione” e quindi “se io pago, come ti permetti di bocciare mio figlio peadrone?”).

Il documento dei parlamentari del Vaticano – pubblicato casualmente dal quotidiano dei vescovi Avvenire – chiede di sostenere le paritarie, ad esempio concedendo una detrazione fiscale totale delle rette per i genitori che scelgono per i loro figli una scuola non pubblica. Per allargare “il mercato”, i 44 gesuiti di complemento chiedono che agli “incapienti”, coloro che non hanno redditi sufficienti per usufruire delle detrazioni, venga fatto dono di un voucher che copra l’intera spesa.

Il governo dell’ex boyscout iscrito alla Dc, naturalmente, è tutt’altroche contrario. Una misura di questo tipo è allo studio, come era emerso già nei giorni scorsi. Il problema da sciogliere è sempre quello delle “coperture”, ma si ragiona appassionatamente sull’introduzione progressiva della detraibilità.

I quotidiani cattolici, maestri nel lobbying travestito di senso morale, innalzano cori e lodi ai 44 parlamentari al loro servizio. Primo firmatario è Gian Luigi Gigli (Per l’Italia-Cd), seguono esponenti del Pd, di Area Popolare e di Scelta Civica. “Il Piano per la ‘buona scuola’ rappresenta un’occasione irripetibile – si legge nell’appello – per superare lo storico gap della scuola in tema di pluralismo e libertà di educazione”. Insomma: soldi.

Con quasi stupefacente improntitudine, i 44 scrivono che la scuola paritaria accoglie ancora oltre un milione di alunni e che garantisce “un evidente risparmio per la finanza pubblica” (dimentichi della Costituzione, che consente l’istruzione privatistica ma “senza oneri per lo Stato”).Sulla scuola nel Cdm il governo varerà solo un ddl – chiedendone l’approvazione in tempi certi – e non più anche l’annunciato decreto. Perché – spiega Matteo Renzi al suo entourage – l’esecutivo vuole dare un messaggio al Parlamento e coinvolgere le opposizioni nello spirito delle dichiarazioni del presidente della Repubblica.

Meno interesse, da parte di parlamentari, per il capitolo comunque più importante contenuto del ddl: il capitolo delle assunzioni. Su cui continua un balletto di cifre assolutamente incredibile, con Il ministro Giannini – che si è detta “basita” per la rinunca al decreto – a giurare che alla fine saranno circa 180 mila, sommando le stabilizzazioni di precari a settembre e gli ingressi di nuovi docenti (si parla di 60.000) per concorso. Una regolarizzazione del personale, e della stessa pianta organica, che ora potrebbe slittare sinedie (i tempi di discussione parlamentare sono sempre aleatori…)

Sotto traccia tutti gli altri temi più controversi, come gli scatti di stipendio che si vogliono subordinare a un “merito” – chi e con quali criteri potrà dare il voto? – invece che, come da sempre, all’anzianità.

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