Cefalù, meta turistica rinomata in tutto il mondo, dovrà fare a meno del centro nascite dell’ospedale San Raffaele, contro il quale è stato deciso un provvedimento di chiusura, recante la firma dell’Assessore Regionale alla Sanità, Lucia Borsellino. La vicenda, oltre ai cittadini cefaludesi, investe tutte le popolazioni di quei comuni siciliani facenti parte del distretto sanitario 33, che fino ad ora si erano avvalsi della struttura: molti di questi, sono ubicati in zone montane e assai distanti dalla prima struttura sanitaria raggiungibile.
Si tratta di una scelta, operata dal Governo Regionale di Crocetta in linea con la volontà del Governo nazionale di Renzi che, per ridurre la spesa sanitaria, impone la chiusura di tutti i punti nascita dove vengono eseguiti meno di 500 parti all’anno. Niente ha potuto finora la pressione politica del Sindaco della cittadina normanna, Rosario La Punzina e della sua maggioranza consiliare: sebbene siano esponenti del P.D. non sono riusciti a evitare lo smacco all’interno del proprio partito da parte di chi siede al governo regionale e in quello nazionale.
Il centro nascite non avrebbe raggiunto nel 2014 per poche decine di unità, gli standard previsti: si parla di 470 nascite a fronte delle 500 minime obbligatorie per tenere in vita la struttura. Di recente è stata indetta una conferenza dei sindaci del distretto 33 allargata alla partecipazione dei Presidenti del Consigli comunali e dai capigruppo consiliari, convocata dal sindaco di Cefalù nella quale si è sottoscritto un documento comune da consegnare al Presidente della Regione e all’Assessore alla salute e al contempo è stata convocata una manifestazione di protesta contro la chiusura del centro che si terrà questa mattina (Venerdì 6 marzo 2015) alle ore 10,30, a Palermo, davanti la sede della Presidenza della Regione Siciliana.
Ritornando al provvedimento di chiusura, è evidente come questo non debba essere considerato un problema della sola amministrazione di Cefalù, ma uno schiaffo alle esigenze dell’intero territorio, nonché una questione da affrontare in maniera aggregata a livello comprensoriale. E’ comunque riduttivo, senza per questo negare le loro responsabilità politiche, limitarsi a dir che si tratta di una scelta operata dal Governo Regionale di Crocetta in linea con quanto stabilito dal Governo nazionale di Renzi; così facendo infatti si farebbe solo un’analisi parziale, anzi distorta, senza focalizzarsi sulle amenità di un processo economico che ormai da anni il nostro Paese subisce. La politica dovrebbe ribadire che chiudere il centro, perché questo non raggiunge per poche decine di unità il numero di nascite stabilite (in funzione di parametri inconcepibili), esula dalla concezione di sanità come servizio primario fondamentale, rivolto indistintamente a tutti i cittadini; una sanità che dovrebbe essere concepita fuori dalle logiche di mercato che mirano invece esclusivamente alla comparazione dei costi e dei ricavi al fine di massimizzare i profitti. Quanto stiamo assistendo è figlio di un modello liberista, aggravato dalle misure di austerity imposte dall’Unione Europea, che gradualmente costringe chi amministra a tagliare le risorse finendo, come nel caso cefaludese, per staccare la spina a quei centri che non rispettano gli standard di produttività previsti. Questo è un modo di operare che la società non può e non deve subire. La salute come l’istruzione devono tornare ad essere obiettivi prioritari dell’intervento pubblico; su questi due fondamentali settori non si può abbattere la falce della spending review. La vicenda in questione è solo uno dei tasselli di questo perverso processo globale. Un’azione politica che si oppone alla chiusura del centro nascite o in generale di strutture pubbliche, come sempre più spesso accade in Italia, deve per forza di cose, contemporaneamente, comprendere e contestare l’impostazione politico-economica da cui queste degenerazioni prendono spunto.
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