Non c’è niente di meno appassionante delle baruffe interne alla classe politica. Ma la frasetta consegnata da Renzi ad “alcuni interlocutori” ci riporta direttamente agli anni ’70-’80, quando i democristiani presidenti del consiglio (non si diceva premier, si parlava ancora italiano) minacciavano le dimissioni se non passava un provvedimento per loro “decisivo”. E spesso le dimissioni erano poi dovute.
Non speriamo tanto, ma quel «Se la legge elettorale non passasse, io non potrei fare altro che trarne le inevitabili conseguenze e salire al Quirinale da Mattarella» attribuisce all’Italicum un valore tutt’altro che secondario. Certo, Renzi sa di non avere alternative credibili al momento, ma dovrebbe anche sapere – lui più di chiunque altro – che ci vogliono cinque minuti ai poteri sovranazionali per creare dal nulla un alter ego accettabile. Un Monti dal cappello si tira fuori in qualsiasi momento…
Resta da chiarire perché un tizio simile leghi la sua sopravvivenza politica a questo disegno di legge elettorale. Abbiamo scritto più volte, e non certo noi soli, che l’Italicum moltiplica i difetti di incostituzionalità del porcellum, perché conferma e rafforza – con una lascheratura minima – sia il premio di maggioranza abnorme che l’assenza di prefereze. Ovvero i due punti su cui la Corte Costituzionale ha bocciato la legge partorita da Calderoli.
E non bisogna dimenticare che in quella Core sedeva l’attuale Presidente della Repubblica, che dovrebbe trovare quantomeno imbarazzante la scelta tra il far passare una nuova legge con gli stessi “difetti” da lui condannati oppure rinviarla alle Camere, delegittimando così il presidente del consiglio che ci ha messo la faccia.
Diciamo che questo sarà il passaggio davvero cruciale per Renzi e la sua idea di espropriazione definitiva del voto popolare. L’opposizione interna al Pd, fatta di strepiti sui giornali e di rese complete al momento del voto (in nome dell'”unità del partito”, figuratevi un po’, come se si potesse considerare sullo stesso piano la difesa del dettato costituzionale e l’unità formale di una congrega partitica informe…), non preoccupa più di tanto chi vi si trova davanti. E’ insomma certo, anche secondo noi, che alla Camera la maggioranza verrà trovata. Certo, saltellando tra molti voti a scrutinio segreto, ognuno dei quali sarà una mina sul percorso. Ma resta pur sempre – esplicitamente brandita – l’arma del “voto di fiducia” sull’intero pacchetto, in modo da blindare il testo che altrimenti dovrebbe tornare di nuovo al Senato.
I problemi, per l’attore prestato a Palazzo Chigi, si moltiplicano di giorno in giorno. E se non lo spaventano i maldipancia bersaniani, sicuramente deve stare attento al montare del malumore in Confindustria (vedi https://contropiano.org/politica/item/30209-un-ultimatum-a-renzi-da-confindustria) e in molte altre sedi. Il corto circuito tra le molte critiche, di settori sociali ristretti ma dominanti, può anche produrre saldature impreviste, momentanee ma convergenti nel “togliersi dai piedi” un avventizio che doveva “rottamare” la vecchia classe politica e gli equilibri costituzionali, senza preoccuparsi di diventare per questo “popolare”. E che, con il passare dei mesi, mostra di essere più attento alla personale campagna elettorale permanente piuttosto che alla realizzazione attenta del programma affidatogli.
- © Riproduzione possibile DIETRO ESPLICITO CONSENSO della REDAZIONE di CONTROPIANO
Ultima modifica: stampa