Il giorno dopo, diradate le cortine fumogene, tutto diventa più chiaro. A Milano, il governo e i suoi servitorelli servizievoli hanno inscenato la “grande pulizia” dopo la “grande polizia”. Qualche migliaio di persone scese in strada con i rulli da pittura per cancellare le scritte lasciate dalla manifestazione del Primo Maggio, nel frattempo elevate al rango di “ferite” per la città, e poi un mini-corteo. Tutti “volontari”, per carità, che ormai lo Stato si limita a fare il servizio d’ordine al “partito della nazione”, mentre per tutto il resto – dall’assistenza domiciliare al welfare in genere, fino al restauro delle vie cittadine, deve provvedere il “volontariato”.
Ovvero il lavoro gratuito. Curioso, no? Tra le ragioni principali della protesta No Expo c’era appunto l'”esperimento” fatto con la mostra internazionale: qualche migliaio di persone, per lo più giovani, messe al lavoro per 15 giorni, con turni di cinque ore e mezza di “prestazione effettiva” (dunque molte di più), senza un euro di retribuzione. Nell’orgia di parole vomitate dai media mainstream – ed anche da qualche sito “di sinistra” – le parole “lavoro gratuito” non sono mai state pronunciate, scomparse, sommerse. Un vero successo per l’informazione schierata a protezione di Renzi come e meglio della Celere.
Ma nella “mobilitazione dei cittadini” organizzata domenica, cui ha prestato la faccia un sindaco Pisapia ormai completamente dimentico dei suoi innamoramenti giovanili, abbiamo visto all’opera la stessa logica da “maggioranza silenziosa” messa in scena 46 anni prima, dopo la strage di Piazza Fontana addebitata immediatamente agli “anarchici”.
Si può dire che per fortuna stavolta la prova arriva dopo qualcosa di immensamente meno grave, ed è anche vero, se si rammenta quel detto per cui “la prima volta è tragedia, la seconda farsa”. Ma pur nella sua sceneggiatura farsesca non bisogna comunque sottovalutare questo “esperimento collaterale” di costruzione di una base sociale reazionaria, indifferenziata (altrimenti ogni figura sociale dovrebbe fare i conti con i propri reali interessi), mobilitabile a km zero e sempre a supporto dell'”ordinato procedere” della vita quotidiana. Legge e ordine al tempo della crisi…
Non bisogna sottovalutare perché in tutta la retorica renziana vive un “tic” sistematico, che scatta ogni qualvolta un soggetto sociale alza la voce contestando questa o quella misura del governo: “noi pensiamo agli interessi degli italiani, non a quelli di una piccola casta” (o una parola dal significato simile). Quali siano questi “italiani”, chi abbia chiesto loro di identificare univocamente i propri interessi e per quali vie misteriose questi concidano sempre con quanto il governo va sconquassando, resta domanda senza risposta.
Diciamo che è un assioma che non necessita di dimostrazione. Ma che alla lunga può mostrare la corda. A forza di rispondere così a tutte le critiche può fatalmente insorgere il sospetto che, in fondo, questo governo non rappresenti nessuno, oltre che – all’evidenza – le imprese, i costruttori di grandi opere (e il sistema di corruzione collegato) e il capitale multinazionale sintetizzato nelle “prescrizioni” dell’Unione Europea.
Dunque, diventa urgente che quella presunta “maggioranza silenziosa” filo-governativa acquisti una fisicità. E Milano, storicamente “capitale” della malmessa borghesia italica, gentrificata dalla scomparsa degli insediamenti produttivi entro l’arco delle tangenziali, “purificata” quindi nella composizione sociale con l’espulsione della stragrande maggioranza del proletariato industriale, si presta perfettamente allo scopo.
I fondali di plastica e cartone dell’Expo corrispondono in pieno alla costruzione di un contesto scenografico e fasullo. Lo spazio ideale per una “rappresentazione” di quello che il potere attuale vorrebbe che fosse “la nazione” per cui sta costruendo il “partito adeguato”.
Una narrazione come tante, certamente. Ma che ha bisogno di nutrirsi di “nemici”, costruendone di sostanzialmente innocui (i “black bloc” sono perfetti allo scopo, anche senza cadere in dietrologie ridicole), in modo da delegittimare qualsiasi critica sociale e politica e affermarsi come unico centro delegato a decidere di tutto. Sopra tutti.
Dal nostro lato, una volta capito il contesto e come sta cambiando, resta il problema da risolvere: come si dà efficacia alle lotte? Questo potere non contratta più niente con nessuno, nemmeno con la Camusso, Barbagallo e Furlan. Tanto meno, dunque, con i soggetti sociali e politici conflittuali, indipendenti, antagonisti. Ma nessun movimento può avanzare o durare in eterno senza ottenere risultati tangibili. La trappola predisposta è solare: “sono accettabili solo le proteste che si svolgono secondo le regole che noi decidiamo, ma se le proteste si svolgono secondo queste regole non verrano prese in considerazione; tutte le altre forme sono vietate e vanno represse, quindi verranno ancor ameno prese in considerazione”.
Siamo al “comma 22” del conflitto politico e sociale. E’ ora di rendersene conto e darsi una svegliata, Nel cervello, innanzitutto.
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