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Sulla “buona scuola” è scontro aperto. Cioè politico

Bastano poche frasi, quasi dal sen fuggite, per dare l’idea chiara di quale sia la funzione della scuola nell’architettura del “potere riformato” renziano: “non sopporto chi strumentalizza studenti e prof”. A strumetalizzare sarebbero tutti i sindacati («La scuola non funziona se è in mano solo ai sindacati, funziona se è di tutti, non facciamo divisioni politiche sulla pelle della scuola»), dipinti poi in un ignobile articolo di Attilio Oliva – sul confindustriale IlSole24Ore – come i responsabili delle assunzioni precarie nella pubblica istruzione.

Evidente come il sole d’agosto a mezzogiorno lo schieramento, altrettanto il “merito” della riforma messa in cantiere: trasformare la scuola in una caserma, con un capo assoluto (il preside), cui è affidata la trasmissione solo di quelle nozioni “utili” alla formazione di manodopera da immettere poi sul mercato del lavoro. Il resto, al macero.

Lo diciamo sapendo di bestemmiare, ma era molto più “liberale”, sul piano culturale, la riforma Gentile, in pieno fascismo.

L’incontro tra sindacati e governo è andato così ovviamente male, al punto che viene ipotizzato non solo un nuovo sciopero, ma anche il blocco degli scrutini. Stiamo parlando dei sindacati “complici”, quelli che mai e poi mai avrebbero pensato di dover mettere in conto una mobilitazione vera. Ma oggi vi sono costretti sia dalla prepotenza assoluta del governo, sia dalla straordinaria partecipazione del personale della scuola allo sciopero del 5 maggio (preceduto da un altro sciopero, il 24 aprile, promosso da Usb e altre sigle minori). In totale ha scioperato ben oltre i due terzi dei dipendenti, una cifra che nonn si vedeva da anni, e che ha messo esplitamente in discussione il “rapporto privilegiato” tra mondo della scuola e Pd. Stiamo parlando di milioni di voti che probabilmente non si riverseranno più nella rappresentanza politica più falsa e bugiarda che esista oggi.

Come fa sempre, il governo Renzi ha fatto finta di ascoltare le obiezioni (peraltro nemmeno troppo radicali) sollevate dai sindacati “complici”. Si era presentato infatti con già scritti degli emendamenti al proprio stesso testo, come se l’incontro in fondo non contasse nulla. Subito diìopo la rottura al tavolo (con la altrettanto solita “disponibilità” della Cisl a confrontarsi ancora, ossia a dire sì al governo), Renzi e il suo entourage hanno messo in azione le batterie mediatiche contro professori, studenti, personale Ata.

Lo scontro sulla riforma diventa così prettamente politico, tra un regime reazionario in rapida costruzione e tutto ciò che non vi può più rientrare. Sindacati complici compresi. Un licenziamento in tronco di fedeli venditori degli interessi dei lavoratori, ormai considerati pressoché inutili. E a cui addebitare tutte le storture esistenti.

Che la scuola vada profondamente ridisegnata è cosa persino ovvia; che vadano discussi e riformulati gli obiettivi della formazione scolastica (dalle materne all’università), altrettanto. Lo scontro non è dunque tra “conservazione” e “cambiamento”, o con linguaggio veltroniano tra “vecchio” e “nuovo”. Si deve aprire uno scontro su quale cambiamento. E a questo scopo i sindacati complici – quelli che hanno accettato di fatto tutte le riforme-cazzata degli ultimi trenta anni (dalla Falcucci alla Gelmini, passando per la peggiore di tutte, quella di Luigi Berlinguer, oltre che per l’orrore firmato Letizia Moratti – sono effettivamente inutili. “Conservatori” per assoluta mancanza di idee, preoccupati soprattutto di perdere una quota rilevante del loro declinante “ruolo politico”.

Comunque sia, sono obbligati a scendere in piazza, a dare via libera alle iniziative di mobilitazione e contestazione, rimuovendo il silenziatore posto da anni su ogni malessere di docenti e studenti. E’ una buona occasione per far crescere consapevolezza critica, organizzazione indipendente (sia sindacale che politica), conflitto. Certo, come per imparare a nuotare, bisogna buttarsi in acqua e non solo fare il tifo o il critico dagli spalti. La partita si gioca nel corpo sociale: un milione di lavoratori, in questo caso, più famiglie e studenti.

 

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