Ultim’ora. Non era vero neanche quello annunciato soltato ieri (“daremo 500 euro di rimborso ai pensionati” interessati dalla sentenza della Consulta).
La “promessa” (peraltro incostituzionale anch’essa) è stata rimodulata in questo altro modo: «Il tesoretto, ebbene, c’era – ha detto il premier – e lo utilizziamo per le pensioni. Sono 2.180 milioni di euro. Andranno a 3,7 milioni di pensionati che riceveranno il primo di agosto un simpatico bonus, il bonus Poletti». Per esempio: «Se prendi 1700 lordi di pensioni, avrai 750 euro. Se prendi 2000 avrai 450 euro, se prendi 2700 lordi avrai 278 euro, una tantum». «650mila pensionati, quelli sopra i 3200 euro lordi. Non riceveranno alcunché».
Forse, bisognerà vedere, se non cambiano idea ancora. Ma di rispettare una sentenza, non se ne parla…
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E’ forse l’argomento su cui la menzogna viene spesa con più disinvoltura. Sia dall’impagabile preudo-premier di Pontassieve, che da parte della “stampa specializzata” in questioni economico-finanziarie. E’ un gioco facile, perché la materia è davvero complessa, e ben pochi riescono a districarsi nella gran molte di dati e leggi.
Renzi ha voluto provare, sul tema, a sfidare il buon senso di tutti gli italiani, a cominciare dai giornalisti. In una dei diecimila comizietti volanti con cui occupa tutti i media tutti i giorni (il mistero è dove trovi il tempo di governare, ossia leggere dossier e farsi un’idea informata di quel che il governo decide; probabilmente non lo fa, e il governo evro è esercitato da altri) è riuscito a infilare una perla davvero notevole: “Nessun pensionato perderà un centesimo. Ma ora scriveremo una nuova norma che metterà il tasca il primo agosto 500 euro a 4 milioni di pensionati“.
Il riferimento è al’ormai nota sentenza della Corte Costituzionale che ha cancellato il blocco dell’indicizzazione alle pensioni superiori a tre volte il minimo ( 1.486 euro lordi, circa 1.200 euro netti al mese). Sulla stampa nazionale, e anche su questo giornale, si era provato a fare due conti, arrivando a quantificare in cifre piuttosto consistenti il rimborso dovuo – dovuto – relativamente agli anni 2012, 2013 e 2014, con un effetto “trascinamento” sulla consistenza attuale degli assegni pensionistici. Come minimo, da 2.000 euro in su. Ora, anche un asino in aritmetica elementare dovrebbe capire che se il governo restituisce 500 euro una tantum -invece di (almeno) 2.000, e senza neanche contare l’aumento derivante dal recupero dell’indicizzazione, tu stai togliendo (almeno) 1.500 euro a ognuno di quei quattro milioni di pensionati. Molto più di un centesimo, no?
Ci fosse stato un giornalista mainstream che l’abbia fatto notare… Tutti a ripetere a pappagallo stupido la frasetta di Renzi come se fosse un grande regalo ai pensionati, invece che – come è – un furto che disattende una sentenza della Consulta.
Al contrario, IlSole24Ore di oggi ricomincia con la solita storia del bilancio Inps in passivo, per il quarto anno consecutivo, dandone la colpa alle pensioni pubbliche e, pudicamente, alle “gestioni speciali”. Un modo di non nominare le pensioni d’oro dei dirigenti d’azienda (i “manager”, insomma), la cui cassa previdenziale privata è andata molti anni fa in fallimento (straordinari questi “manager”; non sanno gestire nemmeno se stessi); da allora i ricchi assegni mensili vengono pagati dall’Inps, naturalmente senza che ci siano versamenti contributivi adeguati a coprire questa spesa.
Sulle pensioni dei dipendenti pubblici il gioco è ancora più lurido, nel solco del nuovo ordine di scuderia (https://contropiano.org/politica/item/30786-sono-finiti-i-diritti-tornerete-questuanti). L’Inps, prima di assorbire l’Inpdap (con decreto del governo Monti-Fornero) e le “gestioni speciali”, era assolutamente in attivo. Perché si è venuto a creare un buco? Per una banale questione di convenzione contabile. Gli accantonamenti per il Tfs (l’equivalente del Tfr dei lavoratori dipendenti del settore privato) non venivano effettuati, anno dopo anno, erché – era il ragionamento – “tanto è sempre lo Stato che paga la liquidazione finale, quindi è inutile accantonare qualcosa che resta comunque nel bilancio pubblico”. Insomma, una partita di giro di cui non valeva la pena di occuparsi.
Al momento della fusione tra i due istituti di previdenza, però, quel vuoto che nessuno aveva ritenuto necessario riempire anno dopo anno si è “materializzato” nei conti Inps come un ammanco grandioso.
Invece di presentarlo per quel che è – l’effetto perverso di una privatizzazione strisciante del sistema previdenziale pubblico – la stampa mainstream preferisce suonare la grancassa delle “pensoni pubbliche” che causerebbero “buchi”.
Un gioco lurido, quasi quanto quello del premier che “hanno messo lì”.
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