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Blocco dei contratti pubblici. Il bilancio vale più della Costituzione

Da quando esiste lo Stato liberal-democratico le questioni di diritto costituzionale si discutono indipendentemente dal calcolo ragionieristico. Perché, altrimenti, sarebbe troppo semplice per il soggetto che ha violato la Carta fondamentale – l’architrave della struttura giuridica – dire “vabbeh, ho torto, ma non pago perché non ho i soldi”.

Questa è esattamente la situazione creata dall’Unione Europea, che ha imposto ai paesi membri il “vincolo al pareggio di bilancio”.

E proprio a questo principio si è appellato oggi l’avvocatura dello Stato nella sua arringa difensiva davanti alla Corte Costituzionale, chiamata a giudicare se il blocco dei contratti pubblici da sei anni a questa parte sia o no incostituzionale. Nel frattempo gli stipendi hanno perso tra il 10 e il 15% del loro valore, e lo stesso avviene per i contributi previdenziali sulla cui base verranno calcolati gli assegni pensionistici a fine carriera.

Va da sé che se l’Avvocatura mette in guardia la Consulta dall’emettere una sentenza simile a quella sul blocco dell’indicizzazione delle pensioni sta già ammettendo che la decisione del governo Berlusconi, poi confermata da Monti, Letta e Renzi, è decisamente incostituzionale.

E infatti l’Avvocatura ha parlato di conti, non di diritto. “L’onere” della “contrattazione di livello nazionale, per il periodo 2010-2015, relativo a tutto il personale pubblico, non potrebbe essere inferiore a 35 miliardi”, con “effetto strutturale di circa 13 miliardi” annui dal 2016. Tanto valeva mandarci la Ragioneria, invece dell’avvocato…

I contratti dei dipendenti pubblici sono bloccati dal 2010 e l’adeguamento sarebbe dovuto ripartire nel 2017, provocando un danno medio oscillante tra i 600 e i 2.000 euro annui per ciascun dipendente dello Stato. Esclusi però poliziotti, carabinieri e militari in genere (il perché ci sembra inutile spiegarlo, vista la popolarità dei politici di questi tempi…). E l’argomento diventa incandescente nel moment in cui la dinamica dell’inflazione, “grazie” al quantitative easing della Bce, riprende a salire.

Il prossimo 23 giugnola Consulta dovrà emettere la sua sentenza. Ma dall’arringa dell’Avvocatura sappiamo già la reazione del governo ad una eventuale sentenza “negativa”. La Corte costituzionale dovrebbe dunque considerare soprattutto l’impatto economico della contrattazione: “Di tali effetti non si può non tenere conto a seguito della riforma costituzionale che ha riscritto l’art. 81 Cost, a partire dalla disposizione del nuovo comma 1, secondo la quale lo Stato assicura l’equilibrio fra le entrate e le spese del proprio bilancio, tenendo conto delle fasi avverse e delle fasi favorevoli del ciclo economico”.

Non manca la presa per i fondelli. L’Avvocatura infatti ritiene che “in ogni caso le prerogative sindacali risultano salvaguardate e si sono estrinsecate, tra l’altro, nella partecipazione all’attività negoziale per la stipulazione dei contratti integrativi (Ccni), sia pure entro i limiti finanziari normativamente previsti”. Per i non addetti ai lavori la traduzione sembra necessaria: “abbiamo contrattato tranquillamente con i sindacati, ma non abbiamo dato un euro di aumento, come deciso dal governo”. 

In cosa consisterebbe allora la “contrattazione”?  E’ rimasta la possibilità “di dar luogo alle procedure relative ai contratti collettivi nazionali, sia pure per la sola parte normativa”. 

Non sappiamo se anche gli emolumenti dell’Avvocatura dello Stato siano rimaste soggette al blocco della contrattazione e quindi economicamente ferme al 2007 (ultimo cntratto sottoscritto). Ma ci auguriamo che siano stati ridotti. Per aiutare a ragiungere il mitico “pareggio di bilancio”….

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