Non solo Roma ma anche questa volta a Bologna. È in atto in queste ore una perquisizione dei carabinieri del Ros negli uffici della Manutencoop, nell’ambito della seconda tranche dell’inchiesta «Mafia Capitale». L’azione è su delega della Procura di Roma con il sequestro della documentazione relativa ad una delle gare di appalto su Roma. Quindi dopo l’inchiesta sugli appalti Expo, ecco un’altra tegola proprio sullo stesso colosso cooperativo che ha partecipato lo scorso 21 marzo alla manifestazione nazionale contro le mafie promossa da Libera (sic!), la stessa che in mezza Italia ha appalti pubblici dalla sanità alle scuole, e che ora vuole aprire il fronte del welfare dei campi estivi per bambini (per il momento aziendali poi si vedrà).
Non siamo tra i “troppi” giustizialisti che inneggiano alle manette, alle inchieste della magistratura che, di norma, si fermano nella “terra di mezzo” senza scalfire i veri centri di potere e che invece manda assolto un padronato colpevole di miserie e di morti sul lavoro. Tuttavia, una riflessione politica sulla degenerazione storica del movimento cooperativo, sulle cause politiche e sociali di questa consolidata tendenza è all’ordine del giorno.
Un’urgenza che si collega anche con la questione della costruzione di un’opposizione sociale e politica nel nostro paese. Sentiamo troppo spesso la tesi che la società civile, quella dell’associazionismo e delle cooperative, esprime valori sociali, etici e politici superiori alla “società politica”. È luogo comune persino in quella sinistra che fa dell’antiliberismo se non del socialismo la propria bandiera.
Se una lettura della realtà, della “società civile”, del mondo cooperativo e dell’associazionismo è sbagliata, diventano sbagliate e inadeguate anche la critica e l’azione politica. Non si tratta solo di contestare una visione che schematicamente possiamo definire ritrito interclassismo. Qui si è persa la bussola che ci consente di distinguere i concreti rapporti sociali, di sfruttamento e di oppressione, dove si nascondono i profondi e concreti legami con partiti di regime come il PD.
In questa amalgama si disfanno le categorie del pensiero e della politica come, per esempio, quando si parla di “bene comune” per non usare “bene pubblico”, perché è concetto troppo statalista o perché questo bene comune, alla fine, è anche la cooperativa amica di qualcuno.
Si è sviluppata e radicata una sorta di religione giustizialista e qualunquista dell’etica e della legalità, che è il tappeto che nasconde il lerciume, che sostituisce la più necessaria giustizia sociale, la critica all’intero sistema di sfruttamento, di sottrazione di ricchezza sociale a favore di ceti manageriali e clientelari, di smantellamento dello stato sociale e di privatizzazione e messa a profitto di ogni tipo di servizio. La stessa etica e legalità che, a cominciare dal PD, viene sollevata e fatta ricadere come su macigno sulle occupazioni abitative, culturali e politiche che vengono, così, sistematicamente messe sotto accusa e sgomberate.
Poi accade immancabilmente che a ricordarci che questa etica e legalità non sono di questa terra (e di questo modo di produzione capitalistico) possono essere le Procure, ma dovremmo farcela sempre da soli, guardando la realtà e confrontandoci nelle lotte.
* Ross@ Bologna
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