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Il vialetto del tramonto davanti a Renzi

Tre notizie nella stessa mattinata ci danno un quadro molto indicativo del clima politico. All’indomani delle elezioni regionali, prima ancora dei ballottaggi alle comunali che hanno segnato un trionfo grillino, titolammo sulla “spinta propulsiva di Renzi” come ormai esaurita. Stamattina le tabelle di Ilvo Diamanti, sul bollettino renziano per antonomasia – Repubblica – ci danno ragione, usando peraltro le stesse parole.

Lasciamo perdere la sterile soddisfazione di chi “l’avevo detto prima io” e approfondiamo un attimo. La seconda notizia è che Fabrizio Barca, incaricato della “mappatura” del Pd romano, ha completato la sua ricerca dichiarando che un quarto dei circoli territoriali è “dannoso”, da chiudere, “feudi” senza controllo, gruppetti clientelari e presumibilmente fabbriche di tessere o di voti alle “primarie” a disposizione di gente poco affidabile. Un quadro da “clan dei casalesi”, ma in piena capitale, che illustra bene come sia “evoluto”, sul territorio”, quello che una volra era il corpacccione del Pci-Pds-Pd: un vuoto in cui infilarsi per dare la scalata a posizioni istituzionali locali (per quelle nazionali, dopo l’arrivo di Renzi, si procede per cooptazione individuale nei circoli finanziari, industriali e professionali). Basta scorrere le pagine delle ordinanze per Mafia Capitale per sapere chi sono (o erano) i capicordata alla testa delle clientele peggiori.

Questa roba non è un partito. Non lo è più, seppure lo è stato (venticinque anni di “partito leggero” non passano invano). Non è più, insomma, un “corpo intermedio” che collega interessi sociali struttura intorno a un grumo di idee politiche, a degli orientamenti ideali e programmatici che possono essere trasformati in azione di governo o amministrativa più o meno coerente. Ma il Pd, si diceva fino alle elezioni del 2013, era “l’ultimo partito rimasto”. Gli altri – Forza Italia e gli altri cespugli di centrodestra, per esempio – erano già delle strutture di raccolta delle clientele intorno a un padre-padrone; oppure (M5S) un reticolo virtuale di indignazioni temporanee (comunque capace di partorire gruppi parlamentari che hanno retto alla prova empirica, sia pure con perdite rilevanti).

Fa parzialmente eccezione la Lega Nord, più legata al radicamento territoriale localizzato vecchio stile, vanamente proiettata verso una dimensione nazionale di fatto irraggiungibile per come ha costruito la sua identità storica: “contro i meridionali e i romani”. Ora cerca di sostituirli con i migranti, naturalmente usando gli stessi mezzi e gli stessi insulti razzisti. Ma l’operazione appare complicata, nonostante il regime abbia deciso da qualche tempo che soltanto Salvini deve poter arrivare a competere con Renzi, ospitandolo in tutte le trasmissioni televisive e radiofoniche adisposizione, dalla mattina alla tarda serata.

Su quello che resta della “sinistra” ex parlamentare sarà meglio standere una lapide senza epitaffi. E pensare al futuro.

La terza è che verrà riesumato il defunto “patto del Nazareno”, con Berlusconi pronto a suportare un governo che non ha più una maggioranza certa in parlamento, specie al Senato. “Stranamente”, Repubblica non ne parla… Ma il segno è ormai palese: centrodestra e Pd sono esattamente lo stesso “partito”, lo stesso ceto incaricato di amministrare la provincia italiana. Quando poi ci saranno le elezioni, faranno finta di dividersi (“votate per noi, sennò torna Berlusconi”, “votate per noi, sennò vince la sinistra”) per tentare di limitare l’emersione di terze o quarte forze e formare comunque un governo con la benedizione della Troika.

Cosa ci dicono le tre notizie, messe assieme? Che Renzi non catalizza più interessi, speranze, illusioni, malintesi; il suo elettorato potenziale – tra i sempre meno intenzionati a frequentare i seggi – è in drastico e rapidissmo calo. Renzi è sul vialetto del tramonto e si è già aperto il “casting” per trovare un sostituto. Cotto un guitto, se ne troverà certamente un altro.

Ma il dato più importante, strutturale, è un altro. Lo spazio della “politica”, in questo paese, è ormai inesistente sul piano decisionale (le politiche economiche e di bilancio vengono scritte tra Bruxelles, Berlino e Francoforte, come dimostra il “megoziato” tra la Troika e la Grecia) e deviante su quello sociale. Un paese con i nostri livelli di disoccupazione, con i salari più bassi d’Europa, dove i lavoratori possono essere licenziati in qualsiasi momento e vengono spiati con ogni tecnologia possibile, con le pensioni e la sanità perennemente sotto attacco, con la scuola a pezzi e via di rottamazione, senza prospettive serie per i futuro a medio termine… viene intrattenuto con “l’invasione dei migranti” (che è un problema da affrontare, ma non il problema), o in aternativa con “il degrado che portano i Rom”.

In questa situazione gli unici gruppi sociali che hanno la possibilità di far valere i propri interessi sono le imprese e le società finanziarie (oltra al Vaticano, naturalmente). Per tutti gli altri – ceto medio professionale compreso – non c’è più alcun canale di comunicazione continuativa e collettiva (categoriale) con le “istituzioni”. Ognuno è solo con la propria impotenza e “deviato” per quanto riguada l’individuazione delle cause del proprio malessere.

In questo quadro soffocante, dove gli interessi dominanti sono nascosti dietro chiacchiere da osteria, si rischia seriamente che il cosiddetto “senso comune”, quello vigente “tra la gente”, sia dominato da temi devianti (migranti, sicurezza, ecc). E non si può pensare di competere contro questo senso comune in costruzione senza neanche possedere strumenti di comunicazione altrettanto potenti (più che ovvio che in quelli esistenti non si ha più diritto di parola, se non per facilitare la propria criminalizzazione”.

Qualcosa si sta muovendo, il conflitto sociale si esprime ancora, anche se fa molta fatica (specie quanto a “soggettività”) a costruire spazi non occasionali di convergenza unitaria contro il nemico comune. Non basta – sembra ormai evidente – la banale “aggregazione di scopo” (per una campagna, una manifestazione nazionale e/o locale), effimera e limitata quanto l’obiettivo. Occorre l’unità degli esclusi dal gioco (lavoratori, precari, disoccupati, pensionati, migranti, ecc); unità non tanto “ideologica” o peggio “comportamentale”, ma intorno a un nuclo forte di interessi comuni. Serve una soggettività forte, nazionale e internazionale, altrimenti nessuno ti si fila. Nemmeno se “sanzioni” un “simbolo del potere”.

 

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