Un governo che rapina la popolazione è la normalità, ormai. Ma quello guidato dal guitto di Pontassieve assume ogni giorno un profilo peggiore. Se possibile.
Dopo aver fatto scrivere in lungo e in largo, sguinzagliando il ministro delle coop Giuliano Poletti, che si stava pensando a ritoccare la riforma delle pensioni targata Fornero per consentire di uscire dal lavoro volontariamente, con pochi anni di anticipo, “per favorire l’occupazine giovanile!, ieri sera – sull poltrona di Bruno Vespa – la classica marcia indietro.
Se mai ci sarà un intervneto in materia pensionistica, dovrà essere “a costo zero per lo Stato”. “Dobbiamo trovare un meccanismo – ha spiegato Renzi – per cui chi vuole andare in pensione un po’ prima rinunciando a un po’ di soldi possa farlo, il problema è quanto prima e quanti soldi. Spererei di farlo nelle prossime settimane e mesi. Sono ottimista ma per lo stato deve essere a somma zero”.
Ovvero tutto a carico dei pensionati stessi. Non che le proposte fin qui circolate fossero “a titolo gratuito”. Si andava dal 2-3% in meno per ogni anno di anticipo rispetto ai 66 anni e 7 mesi ormai necessari, fino alla proposta di “quota 100” sommando età anagrafica e anzianità contributiva (fino alla “riforme Fornero” c’era “quota 96”, che già sembrava molto alta).
Ma anche queste “costano troppo”. è stato fatto dire a Tito Boeri, neo presidente dell’Inps nominato per aver tirato fuori l’idea di pagare tutti, d’ora in poi, con il “metodo contributivo”; ovvero cancellando i residui anni rientranti nel “metodo retributivo” e dunque riducendo fortemente sia l’assegno mensile che il tfr.
Al massimo, potrebbe essere estesa l'”opzione donna”. Un vero massacro, dal punto di vista reddituale, che almeno era lasciato alla scelta individuale (ritirarsi prima dell’età massima, ma percependo appunto sia il tfr che l’assegno mensile secondo il calcolo contributivo integrale).
In subordine, torna l’idea del “prestito pensionistico”, ovvero la somma di contributi da versare fino al raggiungimento delle’tà pensionabile ti viene “prestata” dallo Stato e restituita con una trattenuta rateale sull’assegno mensile.
La prova pratica verrà fatta appunto dalle donne che lavorano nel settore privato, già nel 2016. Dal primo gennaio, infatti, scatterà uno “scalone” per l’età pensionabile di ben un anno e 10 mesi (65 anni e 7 mesi invece dei 63 e 9 attualmente in vigore. In pratica per quasi due anni non ci saranno donne del settore privato che possano andare in pensione. A meno di non accettare un taglio all’assegno di proporzioni catastrofiche (le donne che “optano” hanno una decurtazione dell’assegno mediamente tra il 25 e il 30%).
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