C’è da rimanere fulminati nel leggere che: “Sul Tg3 hanno costruito un’opposizione che non esiste, danno più spazio alla minoranza dem che alla vera opposizione parlamentare”. “Non si sono accorti che è stato eletto un nuovo segretario, Matteo Renzi, che poi è diventato anche premier. Il Pd viene regolarmente maltrattato“. Le parole del deputato Pd Michele Anzaldi, prima sul Corriere della Sera e poi su La Repubblica, hanno gettato benzina sul fuoco di una polemica che, dopo le critiche del Pd a Ballarò per la scelta di ospitare nelle prime puntate due esponenti M5s (Luigi Di Maio e Alessandro Di Battista), si è inasprita con gli attacchi di Vincenzo De Luca contro i servizi di Presa Diretta e Report. Frasi che per il comitato di redazione del Tg3, “sono inaccettabili e ricordano nei toni editti bulgari di berlusconiana memoria”. Replicano anche le organizzazioni dei giornalisti: “Ancora nel 2015 l’informazione non asservita dà fastidio. Abbiamo contestato i bavagli ieri, non smettiamo di farlo oggi. Le parole di Michele Anzaldi sono gravissime e rivelano la sua visione di una Rai servizio pubblico totalmente asservita al potere di turno” affermano i segretari della Fnsi, Raffaele Lorusso, e dell’Usigrai, Vittorio di Trapani. Va giù duro dal suo blog Beppe Grillo:”Le regole di Goebbels Anzaldi per la Tv pubblica sono chiare: vietato criticare il governo, vietato intervistare portavoce del M5S, il Pd ha sempre ragione, chi sgarra paga (Vianello è avvisato per la seconda volta)”.
Intanto, per sapere esattamente di costa stiamo parlando, è bene dare un’occhiata ai dati di Open Tg che dimostrano piuttosto nettamente come Renzi, il suo governo e la sua maggioranza, godano di un ampia supremazia nella esposizione mediatica di tutti i telegiornali. Da dove nasce allora questa animosità del Pd e dei renziani addirittura contro il “suo” TG3? Assistendo ai telegiornali tappetino del duo Berlinguer/Mannoni, agli endorsement di Fabio Fazio o di Benigni, viene da chiedersi che cosa possano pretendere di più Renzi e i renziani. La mordacchia alle poche trasmissioni di inchiesta come Presa Diretta e Report oppure al sempre più soporifero Ballarò?
La sintesi più semplice, quella francamente più banale, rimanda quasi automaticamente alla pulizia etnica dei telegiornali dell’epoca berlusconiana, al famoso “editto bulgaro”. Una valutazione più aggiornata ci segnala invece che stiamo ben dentro un modello di regime oligarchico ispirato e imposto dalla governance a livello europeo. La demolizione della democrazia rappresentativa, di cui quello che a cui stiamo assistendo al e sul Senato è solo l’ultimo passaggio in ordine di tempo, non prevede più il contraddittorio, figuriamoci il conflitto.
Se il governo/regime dice che sta andando tutto bene, gli apparati ideologici di Stato (e il sistema dei media ne è parte integrante) non possono che veicolare acriticamente questa visione. Chi non lo fa, chi non adegua format, modi e tempi della comunicazione a questo input, è un disfattista, esattamente come nei tempi di guerra. Perchè di questo si tratta.
Nell’epoca della competizione globale, che per sua natura si gioca sul mercato-mondo, i “fronti interni” devono essere in ordine, non possono manifestare dissonanze che indeboliscono la proiezione economica, politica o militare al di fuori del paese.
All’evidenza dei fatti si riconferma ancora una volta come la vera jattura di questo ventennio non sia stata tanto la “casta” ma l’artificiosa e artificiale polarizzazione tra berlusconiani e antiberlusconiani, alimentata da un gruppo editoriale/finanziario (Espresso-La Repubblica) contro un altro gruppo editoriale/finanziario (Fininvest). Chi ha accettato questa polarizzazione ed ha girato in tondo per anni, ha perso prima l’anima e adesso che i tempi si fanno duri, sembra aver perso anche la voce.
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