Ore 13.20. Il giudice monocratico ha assolto Erri dal reato di istigazione a delinquere. Chiarissima anche la motivazione: il fatto non sussiste. Un lungo applauso dal pubblico ha accolto il verdetto. Non pervenuta, per ora, la reazione dei pm, sconfessati dalla sentenza.
Si arrendono invece, ma non ammettono d’aver fatto un’idiozia, i vertici di Ltf, la società italo-francese che si è occupata del progetto e delle opere preparatorie della Torino-Lione che nel settembre 2013 aveva denunciato Erri De Luca. “Rispettiamo la decisione del giudice, non ne faremo una battaglia campale, ma nei momenti di tensione sociale ci sono dei limiti che soprattutto gli intellettuali dovrebbero rispettare”. Lo afferma l’avvocato Alberto Mittone, legale di Ltf, prima di scomparire.
Molto misurata, come sempre, la reazione dello stesso Erri: “E’ stata impedita una ingiustizia, quest’aula è un avamposto sul presente prossimo”. “Ora mi sento un cittadino qualunque, ma la Val di Susa resta una questione che mi riguarda. Di questo processo mi rimane la grande solidarietà delle persone che mi hanno sostenuto, in Italia e in Francia. La sentenza ribadisce il valore dell’articolo 21 della Costituzione. Ho letto sui giornali della telefonata di Hollande a Renzi, ma non credo che abbia influito sulla sentenza. Adesso andrò a Bussoleno in vla Susa, a un appuntamento che avevo già preso tempo fa con gli amici che attendevano la decisione del giudice”.
Felice ma determinato anche il suo avvocato, Gianluca Vitale: “Questa sentenza riporta le cose al posto giusto e dimostra che non avremmo dovuto essere qui. Mi auguro che la Procura e la Digos di Torino capiscano che c’è un limite anche all’attività di repressione. La libertà di pensiero deve essere tale in Valle di Susa come nel resto del Paese”.
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Non era stato un Erri De Luca dimesso, quello che si è presentato stamattina per l’udienza finale del processo intentatogli dalla Procura di Torino. “Confermo la mia convinzione che la linea sedicente ad Alta Velocità va intralciata, impedita e sabotata per legittima difesa del suolo, dell’aria e dell’acqua”.
E non si trattava di frasi concesse alla stampa (soprattutto internazionale) che affollava l’ingresso del Tribunale. Sono parole soppesate e spese davanti alla corte, in quelle che vengono chiamate “dichiarazioni spontanee”, alla fine di un dibattimento, in cui “l’imputato” ha il diritto di parola in prima persona per chiarire ulteriormente la propria posizione prima che il giudice monocratico, Imacolata Iadeluca, si ritiri in camera di consiglio per decidere la sentenza.
L’imputazione immaginata dalla Procura è ormai nota: istigazione a delinquere, per quelle stesse frasi ribadite stamattina.
Il pm Antonio Rinaudo, che insieme ad Andrea Padalino ha condotto le indagini, ha chiesto una condanna a otto mesi di reclusione con le attenuanti generiche perché “con la forza delle sue parole ha sicuramente incitato a commettere reati”. La coppia di magistrati è diventata famosa, in questi anni, per la pervicacia e la fantasia giuridica con cui ha perseguitato il movimento No Tav. Tanto da far pensare a molti che non si trattasse tanto di ansia di giustizia quanto di repressione politica ad hoc.
L’imputazione tocca infatti un punto politico discriminante tra democrazia e regime di polizia. Secondo i due magistrati Erri ha usato il suo potere di persuasione, come scrittore famoso, per incitare al sabotaggio. E non sono sembrati sconvolti dalla testimonianza sotto giuramento degli stessidirigenti della Digos, che hanno riferito come – dopo che Erri aveva rilasciato l’intervista incriminata – non ci sia stato alcun aumento dei “sabotaggi” al cantiere della Tav.
Nella logica dei pm, insomma, c’è un rovesciamento classico del rapporto tra processi di contestazione sociale e opinioni, per cui se tutti tacessero non ci sarebbe alcuna contestazione. E maggiore è la notorietà della persona, più stringente dovrebbe essere questo silenzio; a meno di non mostrarsi come “supporto autorevole” delle autorità. Una logica di guerra, non giuridica, indifferente persino alla successione dei fatti: la resistenza della popolazione della Val Susa è di molti anni precedente qualsiasi dichiarazione di Erri o altri intellettuali in suo favore, come da sempre avviene nella storia.
“Sono un testimone della volontà di censura della parola, questa sentenza sarà un messaggio sulla libertà di espressione”, “questo non è un processo al sottoscritto, ma alla libertà di pensiero nel nostro Paese”, ha ha infatti più volte spiegato Erri. In fondo, il termine sabotare “è stato praticato da figure come Ghandi e Mandela”.
E rivolto invece alla stampa: “Non riesco a comprendere se questo processo è il primo di una nuova Italia o l’ultimo di una vecchia Italia. Questo è un processo sperimentale, il primo ai danni di uno scrittore, è impossibile fare previsioni”.
Erri ha anche confermato che in caso di condanna non ricorrerà in appello e dunque dovrebbe a quel punto essere “tradotto in carcere” (trattandosi di uno scrittore, il doppio senso è evidente).
“I miei colleghi stranieri continuano a non capire il perché di questo processo, io sono tranquillo”, ha ripetuto ancora una volta stamattina, entrando in tribunale.
A suo favore avevano preso posizione decine di intellettuali di statura internazionale, tra cui Wim Wenders, Salman Rushdie, Étienne Balibar, Antoine Gallimard, Juliano Ribeiro-Salgado, e tanti altri.
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La dicharazione resa da Erri prima della sentenza:
Sarei presente in quest’aula anche se non fossi io lo scrittore incriminato per istigazione. Aldilà del mio trascurabile caso personale, considero l’imputazione contestata un esperimento, il tentativo di mettere a tacere le parole contrarie. Perciò considero quest’aula un avamposto affacciato sul presente immediato del nostro paese. Svolgo l’attività di scrittore e mi ritengo parte lesa di ogni volontà di censura. Sono incriminato per un articolo del codice penale che risale al 1930 e a quel periodo della storia d’Italia. Considero quell’articolo superato dalla successiva stesura della Costituzione della Repubblica. Sono in quest’aula per sapere se quel testo è in vigore e prevalente o se il capo di accusa avrà potere di sospendere e invalidare l’articolo 21 della Costituzione.
Ho impedito ai miei difensori di presentare istanza di incostituzionalità del capo di accusa. Se accolta, avrebbe fermato questo processo, trasferito gli atti nelle stanze di una Corte Costituzionale sovraccarica di lavoro, che si sarebbe pronunciata nell’arco di anni. Se accolta, l’istanza avrebbe scavalcato quest’aula e questo tempo prezioso. Ciò che è costituzionale credo che si decida e si difenda in posti pubblici come questo, come anche in un commissariato, in un’aula scolastica, in una prigione, in un ospedale, su un posto di lavoro, alle frontiere attraversate dai richiedenti asilo. Ciò che è costituzionale si misura al pianoterra della società.
Inapplicabile al mio caso le attenuanti generiche,se quello che ho detto è reato, l’ho ripetuto e continuerò a ripeterlo.
Sono incriminato per avere usato il verbo sabotare. Lo considero nobile e democratico. Nobile perché pronunciato e praticato da valorose figure come Gandhi e Mandela, con enormi risultati politici. Democratico perché appartiene fin dall’origine al movimento operaio e alle sue lotte. Per esempio uno sciopero sabota la produzione. Difendo l’uso legittimo del verbo sabotare nel suo significato più efficace e ampio. Sono disposto a subire condanna penale per il suo impiego, ma non a farmi censurare o ridurre la lingua italiana. ”A questo servivano le cesoie” : a cosa? A sabotare un’opera colossale quanto nociva con delle cesoie? Non risultano altri insidiosi articoli di ferramenta agli atti della mia conversazione telefonica. Allora si incrimina il sostegno verbale a un’azione simbolica? Non voglio sconfinare nel campo di competenza dei miei difensori. Concludo confermando la mia convinzione che la linea di sedicente alta velocità in Val di Susa va ostacolata, impedita, intralciata, dunque sabotata per la legittima difesa della salute, del suolo, dell’aria, dell’acqua di una comunità minacciata. La mia parola contraria sussiste e aspetto di sapere se costituisce reato.
Erri De Luca
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