Tira un’aria strana, sull’Italia. Pesante, fetida, infetta come ai vecchi tempi della P2 (poi P3, P4, ecc). La polizia sgombera e mena qualsiasi manifestazione non diciamo di opposizione, ma anche di semplice solidarietà.
L’immagine del bambino tirato fuori dall’ex Telecom di Bologna, ancora attaccato al respiratore artificiale, mentre tutt’intorno i poliziotti manganellano occupanti e solidali, è un’icona della follia raggiunta da un regime. Ma verrà presto dimenticata. perché superata da immagini e situazioni peggiori.
Non è routine, non siamo in condizioni “normali”. Ossia di pieno controllo da un punto di vista di classe, nonostante non ci sia una grande resistenza popolare. Scontri feroci si stanno svolgendo dentro i palazzi del potere, e comunque vada preparano un futuro peggiore per tutti noi.
Prendiamo le due notizie del giorno. Il presidente della Banca d’Italia, Ignazio Visco, figura tra gli otto indagati da parte della procura di Spoleto per il commissariamento della Banca Popolare di quella città. Papa Francesco, invece, finisce sulle prime pagine online di oggi per un “tumore benigno” al cervello.
Comunque stiano le cose, sono due colpi duri alla credibilità di due “istituzioni” molto diverse tra loro, ma costituenti – ognuna a suo modo – due autentici pilastri della stabilità di questo paese.
Prendiamo per primo il caso di Visco, di cui si parla da ieri ma di cui abbiamo deciso di occuparci solo dopo aver esaminato con un po’ di cura i fatti (siamo un giornale, non uno sfogatoio da social network), e che viene sinteticamente riassunto così nel pezzo di cronaca de IlSole24Ore:
Un’indagine sul commissariamento della Banca di Spoleto, che dura da dieci mesi per concorso in corruzione, abuso d’ufficio e truffa, avviata dalla procura di Spoleto nei confronti di otto persone, tra cui spicca il governatore della Banca d’Italia, Ignazio Visco. Iscritti nel registro degli indagati anche i tre commissari straordinari, Giovanni Boccolini, Gianluca Brancadoro, avvocato, che attualmente è anche il presidente di Tercas (la Cassa di risparmio di Teramo) e Nicola Stabile, già punta di diamante dell’ufficio della vigilanza ispettiva di Banca d’Italia (ha condotto le ispezioni sulla Banca popolare di Lodi all’epoca della scalata ad Antonveneta). Iscritti anche i tre membri del comitato di sorveglianza, Silvano Corbella, Giovanni Domenichini, Giuliana Scognamiglio e l’attuale presidente della Banca (nonche vice presidente del Banco Desio) Stefano Lado. La vicenda, su cui la procura di Spoleto avrebbe preferito mantenere la più totale riservatezza, è stata invece rivelata ieri dal Fatto Quotidiano e trova conferma nel registro degli indagati della procura locale.
Anche un breve esame della vicenda porta a considerare l’inchiesta come un “atto dovuto”, perché c’è stato un esposto contro quel commissariamento. Quindi non un’indagine della magistrattura che ha avuto una “notizia di reato”, ma una segnalazione ad opera di una delle parti in causa nel commissariamento. I “denuncianti” sono peraltro i soci della “società cooperativa” che deteneva il controllo della banca – la Spoleto Crediti e Servizi – avvelenati dalla perdita di valore della propria partecipazione azionaria in seguito al commissariamento.
Una storia giudiziaria non breve, perché prima dell’esposto c’erano stati una serie di ricorsi – prima al Tar e poi al Consiglio di stato – tutti incentrati su una questione giuridicamente di lana caprina, ma importante nell’ottica di eventuali risarcimenti per i soci (gli stessi che avevano assistito tranquillamente alla “gestione disinvolta” della piccola banca umbra fin quando nelle loro tasche erano arrivati dividendi consistenti). Quei soci sostenevano che il commissariamento era “illegittimo” perché il Ministero di economia e finanze (Mef) non aveva espresso un parere indipendente da quello di Bankitalia sull’opportunità del commissariamento stesso. Un primo ricorso al Tar aveva dato ragione agli ispettori di Bankitalia, un ricorso al Consiglio di Stato aveva ribaltato la sentenza e quindi dato l’opportunità a i soci di avanzare l’esposto che ha dato orgine – obbligatoriamente – a un’indagine.
Non siamo dei tifosi della Banca d’Italia, ma tra i suoi compiti statutari c’è la sorveglianza bancaria sui piccoli istituti di credito (quelli grandi, di “dimensioni sistemiche”, come Unicredit o IntesaSanPaolo, sono ora sotto la vigilanza della Bce), e quindi anche quello di decapitare il vertice di un istituto malgestito, sull’orlo del fallimento, e agevolare il passaggio del controllo ad un altro istituto che manifesti interesse a subentrare, in questo caso il Banco di Desio dopo il ritito della Banca di Vicenza.
Non sappiamo ovviamente se e come venisse gestita la Popolare di Spoleto – le cronache specializzate non ne parlano bene da anni – ma l’atto compiuto da Bankitalia rientra non solo nelle sue “facoltà”, ma addirittura tra i suoi “doveri” istituzionali. Si può farlo bene o male, si può pasticciare a qualsiasi livello e anche fare “interesse privato in atti d’ufficio”, ma da sempre via XX Settembre è al centro di tensioni violente. Ricordiamo l’unico defenestramento di una Governatore, quello di Antonio Fazio, per una vicenda solo apparentemente simile, relativa alla Popolare di Lodi. Come anche l’arresto di Paolo Baffi, Governatore in carica, e di Mario Sarcinelli, Direttore Generale, nel lontano 1981. Un ordine di cattura firmato dal giudice istruttore Antonio Alibrandi, considerato l’uomo di Andreotti alla Procura di Roma (allora definita unanimemente “il porto delle nebbie”) e padre del terrorista fascista Alessandro, poi morto in uno scontro a fuoco con la polizia.
Vicende diverse, anzi addirittura opposte. Con Baffi si cercava di aliminare un ostacolo a manovre bancarie molto oscure di marca P2, con Fazio, invece, si arrivava a sanzionare un “interesse privato” nella funzione arbitrale di Palazzo Koch.
Lo scoop su Visco indagato arriva da Il Fatto Quotidiano, giornale certo non sospettabile di collusione con poteri strani, ma forse un po’ troppo innamorato della “via giudiziaria al risanamento del paese” per riuscire a valutare sempre correttamente il merito dei fatti. Insomma: “indagato” non vuol dire necessariamente “colpevole”, specie se tutto parte da un esposto “di parte”.
Più simile alle vecchie abitudini massonico-vaticane, anche come origine mediatica, lo scoop sul “tumore del Papa”. Il Quotidiano Nazionale è infatti marchio che identifica un consorzio di tre testate di destra (Resto del Carlino, La Nazione, Il Giorno) che fa capo al gruppo Poligrafici Editoriale S.p.A., di proprietà del gruppo Rieffeser-Monti. Per informazioni maggiori, potete leggere questo pezzo da Il Fatto Quotidiano (quando ci piglia, lo ammettiamo volentieri).
Il Vaticano ha smentito, il direttore del marchio ha confermato; tutto secondo copione. Resta il fatto che alludendo a un “tumore al cervello” viene portato un attacco brutalissimo all’attendibilità delle parole che ogni giorno Francesco spara su argomenti scottanti. E che quasi sempre arrivano sgradite alle orecchie della parte più reazionaria della Curia.
Anche qui, i nostri lettori sanno bene che non siamo affatto tra i tifosi del Papa. Ma non ci sfugge il fatto che il “modernismo francescano” di Bergoglio cozza direttamente contro poteri molto “temporali” (finanziari, immobiliari, ecc) incancreniti.
L’insieme delle notizie, dunque, si restituisce quel clima da “manovre conto terzi” che ci riporta in pieno ai tempi in cui i banchieri “si impiccavano” sotto i ponti di Londra e i papi troppo pietosi con i poveri morivano dopo appena 33 giorni di regno. Sarà che Verdini è il tutor di Renzi, ma tocca ricordarsi che a pensar male si fa peccato, e si ha il merito di indovinarci…
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