Premessa: è difficile discutere una una “legge di stabilità” che ben pochi hanno visto. I ministri l’hanno approvata prima che fosse scritta, le due Camere non l’hanno ancora ricevuta, il Presidente della Repubblica, ieri sera alle 22, non l’aveva ancora tra le mani. Figuratevi noi, poveri cronisti sprovvisti di “entrature a palazzo”…
Ma qualcuno ne ha sicuramente dovuto assaggiare le conseguenze. Per esempio i presidenti di Regione – quelli pomposamente chiamati “governatori” – almeno per la parte riguardante la sanità, per Costituzione (quella emendata in solitudine dal Pd quasi venti anni fa, introducendo il principio suicida della “legislazione concorrente” tra regionie Stato, solo per “recuperare i voti alla Lega”) affidata appunto alle Regioni.
Chi l’ha capita meglio sembra essere Sergio Chiamparino, presidente piemontese e “renziano della prima ora”, che si è dimesso dall’identica carica nella Conferenza Stato-Regioni. Non è proprio una dichiarazione di guerra, anzi, ribadisce di “vedere il bicchiere della legge di stabilità mezzo pieno”, ma sul punto della sanità – dove si prevede che le Regioni in deficit dovranno aumentare Irpef e Irap locali, anche facendo ricorso all’aumento del costo dei ticket, ha deciso che non poteva far altro che dimmettersi. In modo “irrevocabile”, ossia non a là Marino.
«Una regione in queste condizioni non può stare in testa alle altre e per questo ho presentato le mie dimissioni, ma il problema – chiarisce Chiamparino a La Stampa – rischia di diventare esplosivo anche per le altre amministrazioni. Non chiediamo più soldi o di sanare il debito ma un decreto che costituisca un fondo patrimoniale ad hoc dove far affluire le anticipazioni assegnate dall’Economia».
Tecnicamente la questione è complicatissima (voci che appaiono o scompaiono, che assumono una dimensione o un’altra, a seconda che ci siano certe condizioni a contorno oppure altre, tutte però dipendenti da quanto il governo nazionale ha deciso di tagliare sulla spesa sanitaria), ma nella pratica si traduce in un solo gesto: l’aumento del gettito e delle tasse locali. Proprio mentre il governo giura di star tagliando quelle nazionali.
Un falso, anche qui, abbastanza tipico del governo Renzi. Via l’Imu e la Tasi sulla prima casa, che per i meno abbienti si traduce in pochissime centinaia di euro (a fronte di molti servizi pubblici in meno, però, visti i tagli all’amministrazione sia centrale che locale), più spese per i ticket e meno salario netto in busta paga (per effetto dell’aumento dell’Irpef regionale e in attesa di decisioni su quella comunale). Uguale: più tasse per tutti, l’esatto opposto del discorsetto berlusconiano fatto e rivendicato da Renzi in questi giorni.
Anzi, non esattamente per tutti. Visto che Renzi si è rassegnato a lasciare Imu e Tasi su “ville, castelli e abitazioni signorili”, dopo una mezza insurrezione (mediatica per carità…), una “manina” ignota si è affrettata a inserire nella legge uno sconto di almeno 1.000 euro sulla tassa che questi “poveretti” dovranno pagare.
Al contrario, tutti i meno abbienti – ovvero tutti coloro che ricorrono alla sanità pubblica per curarsi (i ricchi vanno altrove, magari con “l’impegnativa” per avere uno sconto) – potranno usufruire di meno servizi pubblici. A cominciare dalle 208 prestazioni diagnostiche che il ministero della salute (la Lorenzin non ha nemmeno una laurea…) ha deciso essere “inappropriate”. Per esempio le analisi del sangue per testare trigliceridi e colesterolo, risonanze magnetiche, Tac e altro…. Te le devi pagare da te o, anche se riesci miracolosamente ad avere “l’impegnativa” dal medico di famiglia, comunque dovrai pagare un ticket più alto. Così ti impari ad ammalarti o a restare in vita troppo a lungo.
Un altro dettaglio chiaramente venuto fuori riguarda l’irrigimento del blocco del turnover per i dipendenti pubblici. Ogni nuova assunzione dovrà costare solo il 25% di quanto pagato per i vecchi dipendenti che vanno in pensione. tenuto conto che gli stipendi erogati ai pensionandi sono in genere più “pesanti” di quelli per i neoassunti (scatti di anzianità, indennità, ecc), si può calcolare che le nuove assunzioni possibili ammonteranno a meno della metà dei pensionati in uscita. Se poi l’ufficio pubblico cui vi dovete rivolgere non funziona più, sapete con chi ve la dovete prendere (con Renzi e Padoan, non con l’impiegato presente!; quelli che timbrano il cartellino e vannoa casa, mica li trovate lì…).
Varie ed eventuali nuove usciranno a breve, pensiamo. Ma il taglio – in attesa dei peggioramenti che verranno imposti dall’esame della Commissione Europea – è già abbastanza chiaro così.
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