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Cantone santo subito. A lui anche gli “arbitrati” per gli obbligazionisti truffati

Renzi è un decisionista, o almeno vuole apparire tale. E quindi ha deciso, in sregio a qualsiasi regola, usanza o tradizione, che gli arbitrati per gli obbligazionisti secondari colpiti dal crac delle 4 banche popolari saranno gestiti dall’Agenzia anticorruzione, presieduta da Raffaele Cantone.

Lo ha spiegato, com’è suo costume, in un’intervista al Tg5, non certo in Parlamento e neache in una riunione del governo. “Se possibile vorrei che gli arbitrati fossero gestiti non dalla Consob, non dalla Banca d’Italia, non dal Parlamento, non dal Governo ma dall’Anac di Raffaele Cantone, un’autorità terza e autorevole, per la massima trasparenza. Nelle prossime ore faremo il possibile perché chi è stato truffato, ma chi è stato truffato davvero, possa riavere i soldi e faremo degli arbitrati. Da parte mia c’è l’intenzione di fare la massima trasparenza e chiarezza, ci sarà il massimo rigore”.

Il povero Raffaele Cantone, a questo punto, comincia a somigliare al più solitario “salvatore della patria” che si sia mai visto. Viene indicato per risolvere qualsiasi problema, presente o futuro, giudiziario o politico amministrativo. Dal controllo degli appalti Expo o per il Giubileo fino a candidato sindaco di Napoli, in opposizione a Giggino De Magistris. In ogni caso, diventa sempre più eidente che si sta imponendo un certo modo di “governare” che prevede la concentrazione di tutti i poteri in poche mani; possibilmente in quelle di “un uomo solo al comando”. Anche fuori dalle istituzioni…

Ma che c’entra l’anticorruzione con la selezione – “caso per caso” – tra gli obbligazionisti truffati e quelli che invece avevano scelto volontariamente di investire in titoli ad alto rischio? Mulla naturalmentee. Ma così – lo ha rivendicato lo stesso renzi – si dà “un segnale” e si prova a blindare un modo di governare, fatto di concentrazione dei poteri nelle mani di pochissime persone, anzi tendenzialmente “un uomo solo al comando”.

Soprattutto, è un segnale a due istituzioni che presentano molto problemi, ma che non si possono bypassare come paracarri inutili. La Banca d’Italia, per esempio, è titolare unica della sorveglianza sulle piccole banche (quelle grandi, di dimensioni sistemiche, sono orai sotto la giurisdizione della Bce), e una decisione come quella di Renzi ne mette indiscussione le prerogative (non i “privilegi”), Ne è consapevole ovviamente il Governatore, Ignazio Visco, che ieri stesso è salito al Quirinale per un colloquio con il presidente della Repubblica.

Il caso del “salvabanche” è un verminaio che emana tanfo da ogni poro. C’è l’ovvio sospetto che il governo si sia attivato soprattutto per Banca Etruria, la più grande delle quattro interessate dal decreto, delineando un meccanismo che salvaguardava gli ex amministratori – tra cui il vicepresidente Pier Luigi Boschi, padre del ministro che in queste ore si sta difendendo da una mozione di sfiducia in Parlamento – nel mentre azzerava i risparmi di tutti quei correntisti truffati con la vendita di “obbligazioni subordinate”. C’è la certezza che quegli amministratori si siano concessi fidi milionari proprio nello stesso periodo in cui ramazzamavo liquidi dai conti correnti dei clienti più deboli.

Ci sono le indagini condotte dalla Procura di Arezzo, sia nei confronti degli ex amministratori, si degli orhani che dovevano controllare l’istituto (ovvero la Consob, in quanto Banca Etruria era quotata in Borsa, e Banca d’Italia, addetta alla sorveglianza).

Ma c’è anche il fascicolo aperto al Consiglio Superiore della Magistratura proprio sul procuratore capo di Atezzo, Robeto Rossi, che indaga sulla banca del padre del ministro mentre è, contemporaneamente, “consulente giuridico” del governo (quindi, di fatto, anche del ministro Boschi).

Su questo caos piove la decisione renziana, forse nella speranza di sparigliare un mazzo di carte per lui molto sfavorevole. Rischia di vedere incrinata definitivamente la credibilità del suo ministro in tubino nero; rischia di aprire uno scontro anche con Pier Carlo Padoan (il cui schema di decreto sugli arbitrati lasciava alle istituzioni delegate il compito operativo); rischia di finire coinvolto in prima persona dagli affari di suo padre proprio con alcuni degli amministratori di Banca Etruria, a cominciare dall’ex presidente Rosi.

L’evocazione di Raffaele Cantone, la sua personale “garanzia di trasparenza”, “al di sopra delle parti”, ecc, contine infine un rischio anche per lo stesso Cantone. A forza di essere chiamato a fare l’uomo della provvidenza al servizio di un premier istituzionalmente piàù che disinvolto, infatti, sta vedendo sbiare giorno dopo giorno proprio quell’aura di “trasparenza e terzietà”.

O sei l’uomo del governo per ogni impiccio o sei l’arbitro imparziale e incorruttibile. Tertium non datur…

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