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Tutti (o quasi) al lavoro per il Partito della nazione

Tutti al lavoro per il “partito della nazione” (senza maiuscole, si tratta davvero di roba povera…). A Roma “scende in campo” anche Giorgia Meloni, per essere proprio sicuri che sia il renziano Roberto Giachetti ad arrivare al ballottaggio con la candidatata sindaco grillina al Comune di Roma.

Il centrodestra classico, insomma, quello un tempo trionfante sotto il mantello di Berlusconi – dagli ex Dc andreottiani o dorotei fino ai missini nostalgici del fascio, passando per qualche craxiano sopravvissuto agli arresti – si presenta con ben quattro candidati diversi: Bertolaso (un nome, una garanzia), Meloni, Francesco Storace e Alfio Marchini (in caduta libera e costretto a farsi votare ai gazebo leghisti).

A “sinistra”, si fa per dire, c’è un’identica corsa alla frantumazione. I nomi di Ignazio Marino, Stefano Fassina, Gianluca Peciola e magari qualche altro che potrebbe uscir fuori nei prossimi giorni, assicurano percentuali facilmente ignorabili dai più.

Fin troppo facile prevedere che tutti faranno fatica a superare la soglia del 10%, quindi Giachetti potrà andare al ballottaggio anche con i numeri bassissimi che gli affidano i sondaggi sulla credibilità del Pd romano, uscito devastato nell’immagine e nell’organizzazione dallo scandalo di Mafia Capitale e da gli innumerevoli business “cooperativi” in comunella con i peggio fascisti.

Identica scena a Napoli, scrivevamo qualche giorno fa, peggiorata dallo scandalo dei soldi dati fuori dai “gazebo delle primarie” del Pd, anche da personaggi notoriamente vicini all’ex berlusconiano Cosentino, in carcere per i rapporti con il clan dei Casalesi. Qui l’alternativa da battere era e resta Luifgi De Magistris, non i grillini, quindi l’impresa era anche più difficile. Ora quasi impossibile.

Identico disastro anche a Torino, dove proprio nelle ultime ore Salvini ha rotto ogni possibile convergenza sul candidato proposto da Berlusconi. “Osvaldo Napoli non è un candidato valido, si è perso troppo tempo. Se Berlusconi non vuole politici, ma imprenditori e professionisti, per me la persona giusta è il notaio Alberto Morano”.

Nemmeno con una strettissima alleanza la Lega – stabile, ma non in ascesa – e i berlusconiani rassegnati alla caporetto, avrebbero potutto sperare di inserirsi nel previsto scontro tra Fassino e i grillini.

Non parliamo di Milano, dove sono stati gli stessi Cinque Stelle a farsi da parte bruciando in corso d’opera il loro primo candidato, Patrizia Bedori. La corsa del neo-piddino Giuseppe Sala, nonostante i clamorosi buchi di bilancio come massimo dirigente dell’Expo, sembra dunque in discesa.

Quale quadro emerge da questa serie di tessere comunali? Che ai piani altissimi del capitale che controlla questo paese hanno deciso una restrizione drastica dell’offerta politica: “il Pd” deve ingurgitare anche il centrodestra, tranne forse qualche pagliuzza proprio con la testa al “duce”, la Lega deve fare la finta opposizione, ma in modo così becero e stupido da non poter nutrire alcuna ambizione “governista”. Stop. Il Movimeto 5 Stelle è un ircocervo inservibile per quegli scopi e probabilmente profondamento incerto sull’identità da assumere nel prossimo futuro. “A sinistra”, finché galleggeranno i vecchi tromboni, non ci sarà né vita, né conflitto, né speranza.

Per ora il disegno “egemonico” di una classe politica acefala, mera esecutrice delle direttive dell’Unione Europea aggiustate secondo gli interessi di gruppi di potere locale inaggirabili, ridotta a un “uomo solo al comando”, incentrata sulla pura “comunicazione” (leggasi: intrattenimento) potrebbe anche funzionare. Magari non in ogni città, magari non in modo eclatante.

Ma i margini di incertezza sono molti, in parte legati a una crisi che non passa e a una “crescita” che non si vede sulla tavola, nonostante i forsennati annunci giornalieri del premier. In parte connessi a un consenso che cala di continuo e alle vecchie partizioni dell’elettorato italico. Finché gli mini di Renzi sono in grado di resentarsi come possibili vincenti, a livello locale, è abbastanza facile far convergere su di loro i pacchetti di voti di centrodestra. Il viceversa, invece, resta abbastanza complicato. Chi glielo va a spiegare, a un piccolo “popolo” rimbesuito a colpi di antiberlusconismo come ultima trincea, che ora bisogna votare un berlusconiano o direttamente un fascista?

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