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Referendum. Servi fedeli per cavalieri in difficoltà

Sono passati solo pochi giorni dal momento in cui Renzi ha deciso di cambiare l’ordine del discorso circa il referendum costituzionale autunnale, spostando il campo di gioco da quello del plebiscito personale a quello dei contenuti della riforma, e subito il mondo accademico bolognese è corso in aiuto del premier in difficoltà.
 
Dopo la recente campagna in difesa di Panebianco, contestato dagli studenti per i suoi editoriali guerrafondai, questa settimana una cinquantina di professori dell’Unibo ha nuovamente utilizzato lo strumento dell’appello pubblico in soccorso al regime, questa volta per schierarsi a favore del sì al referendum. Le scarne motivazioni della scelta, a dire il vero molto poco “accademiche” nei toni e nella superficialità che ne traspare, evidenziano la preoccupazione di questi autorevoli personaggi per la governabilità del paese, eletta a stella polare della controriforma costituzionale necessaria per mantenere il controllo sulla società della crisi.

Sotto le mentite spoglie di una scelta neutrale, ancora una volta ammantata dell’intoccabilità che si cerca di conferire al sapere “tecnico”, traspare chiaramente il servilismo intellettuale ed il funzionalismo ideologico rispetto a quelli che oggi sono i centri di potere dominanti: la centralizzazione autoritaria del potere ed una procedura più spedita di approvazione delle leggi, che elimini ogni possibile rallentamento in un parlamento già svuotato, realizzano la necessità di approvare decisioni calate dall’alto (Bruxelles, Francoforte e Berlino), nella maniera più veloce possibile. Come recentemente dimostrato anche in Francia, l’autoritarismo liberale non necessita più del dibattito parlamentare e di quei presidi democratici fissati dalla lotta di liberazione antifascista, recintati e distorti sin dal dopoguerra, ma oggi definitivamente soggetti all’eliminazione auspicata nella famosa dichiarazione della banca d’affari internazionale JP Morgan già nel 2013. Per il governo ogni sostenitore è buono per essere tirato sul carro in questa decisiva operazione, e la spaccatura tessuta dal PD proprio a Bologna tra le fila di un notoriamente ambiguo ANPI è stata nei giorni scorsi una buona rappresentazione di questa corsa alla coscrizione. Mentre sempre più il progetto del Partito della Nazione vede convergere attorno a sè gli interessi dei poteri forti lungo la penisola, allo stesso tempo si sta ampliando la forbice che lo separa dal consenso di massa, come confermano le contestazioni sistematicamente represse che accompagnano le visite di Renzi in ogni città. Pertanto anche la possibilità di apporre al taschino la spilletta dei valori partigiani torna in soccorso di chi ha bisogno del maggior consenso possibile per portare a termine le decisioni del governo più autoritario della recente storia italiana. In tal senso si comprende cosa abbia spinto il ministro Boschi a non provare imbarazzo quando nei giorni scorsi ha accostato tutti gli oppositori del PD ai fascisti di Casapound.
 
Ta i vari firmatari dell’appello degli accademici bolognesi, una menzione speciale merita l’ormai purtroppo celebre costituzionalista Andrea Morrone, delfino di Barbera (affiliato PD ed ora presidente della Corte Costituzionale), le cui scelte politiche sembrano più dettate dall’ansia di apparire mediaticamente e di garantirsi una posizione di potere dentro l’Università, piuttosto che da una linea di pensiero precisa. L’illustre professore, passato negli anni con scioltezza dalla partecipazione ai comitati a favore della scuola pubblica alla difesa di “Re Giorgio” Napolitano e ora in prima linea per il fronte del sì, si è dimsotrato fortemente critico nei giorni scorsi di fronte al rischio anche solo annunciato che ai gruppi fascisti non fossero concesse piazze nel comune di San Lazzaro. Il tutto in occasione di una delibera annacquata con cui l’amminsitrazione dell’interland bolognese ha dimostrato ancora una volta l’evanescenza e la pochezza di proposte che si pongano nel campo antifascista mantenendo la compatibilità con l’attuale arco istituzionale. Il professore, proponendo una lettura neutra della Costituzione (oggi di gran moda tra i costituzionalisti) che riduce tutte le ideologie a semplici e legittime manifestazioni del pensiero, promuove una interpretazione della carta costituzionale non solo molto discutibile, ma soprattutto funzionalizzata in maniera servile rispetto alle esigenze di governance del potere attuale.
 
Di fronte a queste prese di posizione, ben consapevoli dell’importante occasione di mobilitazione offerta dal referendum autunnale e del carattere eminentemente politico di una controriforma che ci vorrebbero descrivere come tecnica e migliorativa, non troveranno certo il modello di studente acritico che tanto cercano di promuovere. A partire dalla nostra comune condizione specifica, inviteremo gli studenti e i precari a smascherare il ruolo decisivo di certi loro professori nel sostenere e promuovere l’accelerazione autoritaria che si vuole imprimere definitivamente anche alle nostre latitudini e che concederebbe ulteriori spazi all’attacco dall’alto praticato oggi dal capitale globale in guerra. Non lo faremo certamente nell’ottica di preservare l’insufficienza dell’esistente, ma per metterlo ulteriormente in discussione e per costruire il nostro futuro a partire dalle fratture che oggi possono essere estese solo con processi conflittuali organizzati.
 
Questo è lo spirito con cui ci approcciamo alla manifestazione nazionale contro il Governo prevista per il weekend precedente alla scadenza referendaria autunnale e lanciata ieri dalla Piattaforma Sociale Eurostop al termine di un’intensa giornata di confronto intellettuale e militante, nella cornice napoletana del convegno nazionale “Italexit”.
 
Una sfida tutta aperta e a cui ci accostiamo con entusiasmo.
Campagna Noi Restiamo

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