Sembrano essere due le cose che uniscono tutti settori dell’élite eurogolpista ucraina: l’obbedienza ai dettami del FMI e alle “raccomandazioni” di Washington, da un lato e la guerra nel Donbass, dall’altro. Per il resto, ogni gruppo punta a far man bassa di più potere possibile, per arraffare quanto rimane delle risorse del paese.
Non ha fatto in tempo la Rada a ratificare il nuovo gabinetto di Vladimir Grojsman, che si sono aperte le cateratte dei litigi e degli insulti; e non solo da parte di chi è rimasto escluso dalle poltrone governative. Ecco perché, come scrive il sito “Politico”, quasi nessuno in Ucraina pronostica lunga vita alla nuova compagine: il tempo di prepararsi per nuove elezioni legislative, forse già in autunno; ordini d’oltreoceano a parte.
Innanzitutto, appare evidente il legame tra i deputati che hanno votato la fiducia a Grojsman e i diversi magnati ucraini, a partire dalla frazione parlamentare “Rinascita”, legata a Igor Kolomojskij: dunque, ogni spostamento di equilibri oligarchici, rischia di compromettere la stabilità del governo. Gli osservatori notano inoltre come, oltre a diverse violazioni procedurali nella nomina dei ministri e nonostante Grojsman sia “uomo di Porošenko”, non pochi problemi siano sorti tra i due nella composizione della compagine, a partire dall’esclusione della yankee-ucraina Ministro delle finanze Natalja-FMI-Jaresko. Problemi non di poco conto per il nuovo gabinetto sono rappresentati anche, scrive “Politico”, dalla riforma costituzionale, da un anno arenata sulla questione dell’autonomia alle regioni e, nello specifico, al Donbass, da un lato e, dall’altro, dal recente voto olandese contro l’associazione dell’Ucraina alla UE.
Per quanto riguarda la situazione parlamentare, né “Patria” di Julija Timošenko, né AutoAiuto di Andrej Sadovoj, né il Partito Radicale di Oleg Ljaško, tutti un tempo membri della coalizione che sosteneva Arsenij Jatsenjuk, hanno votato per il nuovo governo. Ljaško ha gridato alla “usurpazione incostituzionale pro-oligarchica” per il fatto che, a favore di Grojsman, avrebbero votato solo 206 deputati della coalizione tra “Blocco Porošenko” e “Fronte del popolo” di Jatsenjuk; i rimanenti voti – il “Sì” è arrivato da 257 deputati, sul minimo richiesto di 226 – sarebbero giunti da piccoli gruppi parlamentari e singoli deputati. Dal “Blocco Porošenko” hanno risposto che al voto non erano presenti tutti i deputati della frazione, ma quando questa è al completo, la coalizione è autosufficiente. Fatto sta che il programma governativo è stato approvato solo alla terza votazione, con l’apporto decisivo di “Rinascita” e “Volontà del popolo” mentre alcuni deputati del “Blocco Porošenko” hanno votato contro.
Insomma, come notano alcuni deputati, la “coalizione” verrà messa alla prova ogni giorno. L’elezione del nuovo governo è “il consolidamento finale del colpo di stato oligarchico, verificatosi dopo la seconda “rivoluzione della dignità”. Di fatto, è la completa istituzionalizzazione dell’oligarchia come sistema di governo”, ha pontificato dal suo pulpito Julija-gas-e-petrolio-Timošenko. E anche Jatsenjuk non manca già di far sentire la propria voce critica nei confronti del governo, nonostante la partecipazione alla coalizione e nonostante la presidenza della Rada andata al suo uomo, il russofobo Andrej Parubij, ex capo di majdan, ex capo del Consiglio di sicurezza, uno dei principali sospettati quale istigatore della strage di Odessa del 2 maggio 2014.
Una lode a Vladimir Grojsman è venuta invece da Gerusalemme: Times of Israel scrive che Porošenko ha scelto come premier un “ragazzo prodigio ebreo”, il primo politico di spessore apertamente ebreo dell’Ucraina e ricco di “vasti legami nei circoli ebraici”. E se il presidente dell’Associazione delle organizzazioni e comunità ebraiche d’Ucraina, Iosif Zissels, sostiene che l’ascesa di Grojsman, prima come sindaco di Vinnitsa, poi speaker della Rada e ora primo ministro, è la “dimostrazione del fatto che in Ucraina non c’è antisemitismo”, non c’è che l’imbarazzo della scelta nelle risposte da dare: UPA, OUN-UNSO, Stepan Bandera, Roman Šukhevič e oggi Pravyj Sektor, Azov, Andrej Biletskij con le svastiche, i Wolfsangel e gli Schwarze Sonne…
All’esterno, dunque, nessun ripensamento, nessuna svolta sul Donbass. Porošenko ha anzi già annunciato la quinta ondata di mobilitazioni per l’esercito. Memore comunque dei miseri risultati delle precedenti chiamate, con fughe ed espatri dei giovani in età di leva, proteste delle madri, incendi e assalti agli uffici di reclutamento, Porošenko ha detto che la mobilitazione di quest’anno non risente di urgenti necessità, dato che c’è un numero sufficiente di contractor: se siano soltanto ucraini o anche di altri paesi, oppure militari di professione o mercenari privati, il presidente non lo ha specificato. Mentre ha detto chiaramente di aver deciso la destituzione del comandante in capo della flotta, l’ammiraglio Sergej Gajduk, per la “posizione dei volontari e della pubblica opinione”: di quali volontari e di quale opinione pubblica si tratti, non è difficile da immaginare.
D’altronde, la faccenda riveste appena carattere di formalità, tanto che addirittura il Dipartimento di stato USA riconosce senza difficoltà che Kiev sta sistematicamente violando il cessate il fuoco nel Donbass. Specificamente, rispondendo alla domanda se gli USA ritengano solamente le milizie responsabili per le violazioni, il portavoce John Kirby ha risposto che: “non metterei in dubbio il fatto che le violazioni avvengono da ambedue le parti”, anche se, ha aggiunto, “gli USA hanno ragione di ritenere” che la maggior parte dei colpi sia opera delle milizie. Se lo dice lui!
Da parte sua, il vice capo della Missione speciale Osce Aleksander Hug, ha rilevato un brusco aumento delle violazioni del cessate il fuoco, con l’uso di artiglierie e mortai pesanti e ha invitato le parti a ritirare le rispettive forze dalla linea di demarcazione. I tiri dei cannoni diminuiscono sensibilmente o cessano del tutto solo quando gli osservatori Osce si trovano sulla linea di contatto, ha rilevato Hug.
Su questo sfondo, preoccupante appare la dichiarazione del rappresentante russo presso l’Osce a Vienna, Aleksandr Lukaševič, secondo cui alcune decine di russi sarebbero scomparsi senza lasciar traccia, andando in visita a parenti in Ucraina, non solo nella zona del Donbass, ma anche nelle aree di Kharkov, Odessa, Dnepropetrovsk e Kiev. Lukaševič non esclude che i civili russi possano essere stati arrestati senza rispetto delle procedure giudiziarie e trattenuti senza diritto di corrispondenza, in vista del loro utilizzo nello scambio con i prigionieri ucraini nel Donbass.
Insomma, almeno per ora, pare si attagli all’Ucraina odierna il flaubertiano “l’avvenire era un corridoio tutto nero, con una porta in fondo ben chiusa”.
Fabrizio Poggi
- © Riproduzione possibile DIETRO ESPLICITO CONSENSO della REDAZIONE di CONTROPIANO
Ultima modifica: stampa