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Ai politici italiani la tortura piace…

Trent’anni fa è stata approvata la Convenzione Onu contro la tortura, definendo questa pratica come rato con chiarissime parole: “il termine «tortura» designa qualsiasi atto con il quale sono inflitti a una persona dolore o sofferenze acute, fisiche o psichiche, segnatamente al fine di ottenere da questa o da una terza persona informazioni o confessioni, di punirla per un atto che ella o una terza persona ha commesso o è sospettata di aver commesso, di intimidirla od esercitare pressioni su di lei o di intimidire od esercitare pressioni su una terza persona, o per qualunque altro motivo basato su una qualsiasi forma di discriminazione, qualora tale dolore o tali sofferenze siano inflitti da un funzionario pubblico o da qualsiasi altra persona che agisca a titolo ufficiale, o sotto sua istigazione, oppure con il suo consenso espresso o tacito. Tale termine non si estende al dolore o alle sofferenze derivanti unicamente da sanzioni legittime, ad esse inerenti o da esse provocate”. Si deve sottolineare come la definizione sia pensata proprio per i “funzionari pubblici” sotto qualsiasi regime politico, tanto che la tortura viene distinta con precisione dalle conseguenze di “sanzioni legittime”.

L’Italia ha ratificato la Convenzione con appena nel tre anni di ritardo, nel 1989. Senza mai varare però una legge che rendesse operativa quella convenzione.

Nel 2015 la Corte europea dei diritti umani ha condannato l’Italia per i fatti del G8 di Genova, spiegando che in Italia le varie polizie si sentono legittimate a torturare fermati e arrestati proprio per l’assenza di sulla tortura.

Il Pd ha rabberciato in Commissione Giustizia del Senato, che doveva raccordare il testo approvato alla Camera con quello approvato dal Senato, un testo molto cauteloso sul tema, adottando oltretutto una definizione della “tortura” in modo molto diverso da quanto previsto nella Convenzione Onu (“Chiunque con violenze o minacce gravi, ovvero agendo con crudeltà, cagiona acute sofferenze fisiche o un verificabile trauma psichico a una persona privata della libertà personale o affidata alla sua custodia, potestà, vigilanza, controllo, cura o assistenza, ovvero che si trovi in condizioni di minorata difesa”), che nell’affollarsi di parole interpretabili apre varchi giganteschi ai futuri avvocati messi alla difesa degli agenti accusato di questo reato, vanificando di fatto l’effetto deterrente di una legge penale. Per esempio, con questa definizione potrebbe essere condannato per tortura un dipendente di una casa di cura “manesco”, ma difficilmente un poliziotto o un carabiniere.

Ma anche questo nulla sembra troppo a decisivi sostenitori del governo o loro ex compari nei governi Berlusconi.

Angelino Alfano: “Evitiamo messaggi fuorvianti nei confronti delle forze dell’ordine”
Fabrizio Cicchitto: “Sono inutili gli sproloqui sul terrorismo se si indeboliscono le forze dell’ordine e il sacrosanto disegno di legge sul reato di tortura non va bene in questa formulazione, no si devono accomunare le forze dell’ordine e i delinquenti”.
Carlo Giovanardi: “Sono penalizzate le forze dell’ordine, si graziano i delinquenti”. “I sindacati di polizia sono tutti d’accordo per l’altolà a questa legge. Noi siamo solidali con i sindacati di polizia e il Cocer dei carabinieri che si oppongono al disegno di legge sulla tortura, che è un provvedimento intriso di pregiudizi nei confronti delle forze dell’ordine”. Ne consegue che gli unici sindacati rispettati da Giovanardi sono quelli di polizia…
Erika Stefani (Lega): “nel momento in cui il poliziotto effettua l’arresto, nel prendere il delinquente probabilmente esercita una violenza nei confronti di un soggetto che è quanto meno sottoposto alla sua vigilanza o custodia, quindi arrivava a commettere un reato di tortura e ad avere una punizione addirittura aggravata fino a quindici anni in quanto pubblico ufficiale”.

Riccardo Mazzoni (Ala – Verdini): “I vertici delle Forze dell’ordine hanno in particolare messo l’accento sul rischio che con questa legge non si possa più garantire l’ordine pubblico, perché ogni tafferuglio potrebbe essere seguito da un diluvio di denunce alla magistratura”.

Se ne può trarre un’unica conclusione: per una parte consistente e decisiva della “classe politica” italiana gli agenti delle varie polizie devono sempre avere massima discrezionalità nell’uso della violenza, altrimenti non potrebbero fare nulla.

Di conseguenza, per questi politici i poliziotti di ogni arma sono dei torturatori autorizzati che non devono aver nulla da temere dal loro datore di lavoro. Lo Stato. Che in regime di democrazia parlamentare, sia pure borghese, sarebbe in teoria il nostro rappresentante.

Se vi sembra illogico come un uroboro, non è colpa nostra.

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