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La Cassazione dà il via alla lotteria referendaria

L’Ufficio Centrale per il Referendum della Corte di Cassazione “ha dichiarato conforme all’art. 138 Cost. e alla Legge n. 352 del 1970 la richiesta di referendum depositata il 14 luglio 2016 alle ore 18.45 sul testo di legge costituzionale avente ad oggetto il seguente quesito referendario: Approvate il testo della legge costituzionale concernente disposizioni per il superamento del bicameralismo paritario, la riduzione del numero dei parlamentari, il contenimento dei costi di funzionamento delle istituzioni, la soppressione del Cnel e la revisione del titolo V della parte II della Costituzione?”

Diciamo che questa formula è quella voluta dal governo, infida e autopropagandistica. Tutte le voci indicate, che non sono neanche esaustive dei temi toccati dalla controriforma renziana, sembra porre in luce positiva le modifiche apportate dal percorso parlamentare.

In ogni caso, non c’è spazio per le recriminazioni. Ora il governo ha tra i 50 e i 70 giorni di tempo per fissare la data (è una sua prerogativa) a partire dal momento in cui il Presidente della Repubblica firmerà il decreto di indizione. L’arco di tempo utile varia (a seconda della data in cui Mattarella apporrà la firma) oscilla teoricamente tra il 2 ottobre e il 22 dicembre. Ma sembra quasi impossibile far rientrare la consultazione nel mese di ottobre (la campagna elettorale ufficiale dovrebbe cominciare praticamente ad agosto), così come possono essere scartate le domeniche in prossimità del Natale.

Andremo dunque alle urne a novembre, con ogni probabilità il 13, il 20 o il 27 (il 6 finirebbe a ridosso del ponte di inizio mese).

Com’è ormai noto, lo stesso renzi ha deciso di personalizzare al massimo questo voto annunciando – quando si sentiva  certo della vittoria del Sì – che in caso di sconfitta avrebbe abbandonato la vita politica. Man mano che i sondaggi hanno cominciato a illuminare una contrarietà crescente nell’elettorato, il “premier per caso” ha provato prima a ribaltare la frittata (accusando gli avversari di voler “personalizzare”!), poi di esporsi il meno possibile su questo tema (i sondaggi, infatti, peggioravano ogni volta che ne parlava).

Dunque a novembre avremo la possibilità di respingere con il voto popolare una controriforma costituzionale che ne svuota totalmente il senso originario, consegnando – per il combinato disposto cone la nuova legge elettorale chiamata Italicum – al partito che vincerà il ballottaggio il potere di occupare tutte le caselle dei poteri fondamentali (Parlamento e governo, più presidenza della Repubblica e composizione della Corte Costituzionale). Da sottolineare ancora una volta che questa “occupazione proprietaria” delle istituzioni avverrebbe a prescindere dalla percentuale effettiva di voti raccolta in rapporto alla popolazione (un partito che vincesse il primo turno con il 20% dei voti, con un’affluenza ai seggi poco superiore al 50%, si ritroverebbe la possibilità di “fare rubamazzo” istituzionale pur rappresentando soltanto il 10% degli aventi diritto di voto).

Il tutto, è sempre bene ricordare, in un contesto sovradeterminato – quanto a “programma politico” – dall’Unione Europea. Il governo “assolutistico” risultante da questa riforma, insomma, avrebbe l’unico compoto di applicare pedissequamente le decisioni in materia economica e sociale prese dalla Troika (Ue, Bce e Fmi).

Una controriforma di stampo piduista, è stato più volte rilevato, perché molto simile (dettaglio più, dettaglio meno) a quella definita dal “Piano di rinascita democratica” di Licio Gelli.

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