Riceviamo dal prof. Massimo Zucchetti una riflessione sulla situazione dei giovani No Tav che sono bersaglio di continue misure cautelari. I rischi per il loro futuro.
Scrivo questa lettera seduto dietro la mia ampia scrivania, nel mio ufficio di “stimato professionista”. Ho 55 anni, due figli, una cosiddetta “posizione”; e osservo un fenomeno che mi preoccupa, e che voglio descrivere. Spiegando perché mi preoccupa.
Ci sono in questi ultimi mesi, a Torino, in Val Susa, in altre parti d’Italia, ragazze e ragazzi che hanno problemi giudiziari a causa della loro militanza nel Movimento Notav, o del loro antifascismo, manifestato non – come possono permettersi alcuni di quelli della mia generazione – con gli scritti, le parole, le fiaccolate, i grandi cortei: a queste, loro aggiungono le occupazioni, le contestazioni, gli scontri. Non è una modalità obbligatoria, ma succede, ed è comprensibile. Inevitabile.
A causa di questa modalità, essi incappano nelle maglie della Giustizia. Arresti, detenzioni, processi, provvedimenti restrittivi di diversa pesantezza, previsti dal Codice Penale. Addirittura accuse di terrorismo, di banda armata.
Non voglio qui discutere di casi singoli, ma nemmeno tenermi sul generale. Consideriamo allora due esempi immaginari, ma paradigmatici, di due persone di questo gruppo, che oramai supera le centinaia, e vediamo di tratteggiare il loro percorso, presente e futuro.
Stefano (nome di fantasia, è quello di mio figlio di 8 anni) è un giovane di Torino sui 20 anni. È studente universitario, di una passabile brillantezza. Fa sociologia, o lettere, o ingegneria, o medicina, non importa. Oppure studia e fa tirocini per imparare una professione, da assistente sanitario, o da artigiano, o da tecnico, o da professionista. Essendo di famiglia normalmente – come si diceva una volta – “modesta”, viene aiutato dai genitori, per quanto possono; e poi spesso lavora saltuariamente per mantenersi in parte allo studio o durante le fasi iniziali della sua formazione. Potrebbe – essendo bravo – in pochi anni concludere la sua fase di apprendimento e entrare nella fase adulta, indipendente. Ma Stefano è un attivista. Incappa in guai giudiziari che lo ostacolano, che lo spingono volta dopo volta nel gruppo di quelli che non studiano, se non come doversi difendere nei processi. Alla fine – sempre come si diceva una volta – “si perde”. Gli studi vengono interrotti, i lavori saltuari divengono la norma, per sopravvivere con crescente difficoltà; Stefano resta come un eterno adolescente, anche se il tempo passa. La voglia alla lunga sfuma, Stefano campicchia un po’ ai margini, dato che la consuetudine con i problemi giudiziari gli chiude praticamente ogni porta al mondo del lavoro che voleva, da giovane. Niente concorsi, niente lavoro, non per chi ha “precedenti”. Ha poi in seguito – magari – altri problemi giudiziari, la sua vita evolve in una maniera mestamente marginale, faticosa. Non la prende in mano, la sua vita. Perché non ha possibilità di farlo. Pian piano, diventa un ex.
Invece anche Emilia (altro nome di fantasia, è quello di mia figlia di 4 anni) è anch’essa un’attivista. È impegnata nelle problematiche dell’ambiente, dell’istruzione e non solo. Figlia di operai, riesce però a diventare insegnante di materie umanistiche nella Scuola. È protagonista della vita politica e sociale del territorio piemontese e partecipa a numerose lotte; ad esempio per l’apertura di un liceo scientifico pubblico nella zona della media Val di Susa, che ne era sprovvista. È nel sindacato-scuola e solidarizza con le lotte sindacali in varie fabbriche del territorio piemontese; la sua militanza politica coerente e coraggiosa la fa emergere come una figura traino della lotta contro il nucleare e la privatizzazione dell’acqua. Da sempre impegnata contro le guerre, si batte per il riconoscimento del diritto all’autodeterminazione del popolo palestinese. Nella maturità, è candidata alle elezioni Europee e riceve una valanga di voti. Non viene eletta, ma tutta l’Italia che è sensibile alle lotte per i diritti civili impara a conoscerla ed ascoltarla. Conquista, e coinvolge, per il suo impegno per le lotte e per i diritti sociali, per il movimento No Tav, per aver sempre cercato di incontrare e fare incontrare lotte diverse, da quelle per la casa a quelle per l’autodeterminazione dei popoli, contro la guerra, per la tutela dell’ambiente.
Queste due storie sono di fantasia, ma non troppo, specialmente la seconda. Emilia è ricalcata sulla figura nota ed esemplare di Nicoletta Dosio, alla quale chiediamo scusa per aver rubato pezzi di biografia, scritti quando poco tempo fa quando è stata candidata in Parlamento. Ora anche Nicoletta – come tanti altri – è bersaglio di provvedimenti giudiziari che non esitiamo a definire esagerati e ingiusti. Ma dall’alto di quello che è potuta diventare, della stima unanime che per lei hanno tutti, compagni ed avversari, queste persecuzioni non la possono scalfire più di tanto.
Non è Emilia/Nicoletta, che mi preoccupa: è Stefano. Occorre evitare che un accanimento giudiziario francamente eccessivo rovini per sempre la vita dei tanti Stefano, che non li spinga ai margini, verso una vita da ex, di potenzialità inespresse.
Chi mi conosce sa quanto mi pesi appellarmi alla Magistratura e alla Politica italiana: eppure tocca a qualcuno di loro intervenire, a livello nazionale, per neutralizzare questa situazione abnorme che si è venuta a creare localmente. Gli Stefano sono un pezzetto prezioso del futuro del nostro paese, se si darà loro il modo di diventare qualcosa di bello, come è diventata Emilia. Non buttiamoli via.
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