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Firenze. Dopo la sentenza sugli 86, tra repressione e solidarietà

67 compagni/e condannati per complessivi 66 anni ed 8 mesi di detenzione, 15 assolti e diversi reati non passibili di condanna, tra cui l’accusa di “associazione a delinquere” per 7 persone.

Queste, in breve, le cifre finali della sentenza di I° grado per il processo al Movimento Fiorentino: A fronte di una serie di iniziative punite con la condanna, i giudici hanno fatto cadere l'accusa di associazione a delinquere, reato su cui era stata, in parte, costruita l’inchiesta e che aveva molto eccitato la stampa locale. Di fatto una bocciatura dell’impianto accusatorio e dell’indagine condotta dal Pubblico Ministero Coletta con l’ausilio della Digos di Firenze.

L’applicazione del reato associativo aveva, però, già svolto parte del suo compito: permettere mesi e mesi di intercettazioni telefoniche ed ambientali, prolungare l’inchiesta per oltre due anni, inserire in un unico processo diverse iniziative di lotta che poco avevano a che fare con le persone inizialmente indagate, consentire l’utilizzo della custodia cautelare per 35 persone tra domiciliari e firme ed alla criminalizzazione delle lotte politiche e sociali in città.

D’altra parte, non si può certo essere soddisfatti di come siano andate le cose: 67 condanne complessive, con pene da due anni fino a 6 mesi, quasi sempre superiori alle richieste del PM, sono il frutto della compensazione dei giudici rispetto alla bocciatura del reato associativo. Vengono puniti in maniera pesante, con condanne dai 2 anni all’anno e mezzo, soprattutto alcuni episodi: la contestazione alla Santanchè al Polo di Novoli, le manifestazioni studentesche che portarono a cortei non autorizzati, l’occupazione della stazione e in particolar modo le due manifestazioni di solidarietà successive ai primi arresti.

Tanti altri compagni/e sono invece stati condannati per altri reati specifici come cortei non autorizzati, iniziative studentesche, manifestazioni antifasciste, contro la guerra, scioperi generali e manifestazione contro i piani di Governo e Confindustria. Insomma, da una parte si ridimensiona il processo, dall’altra vengono pesantemente condannati 67 compagni/e impegnati nelle lotte degli anni 2009 e 2011, che confermano [105] quanto questo processo sia rivolto all’intero movimento fiorentino. Chi continua a voler sventolare la sua personale bandiera di un processo, contro l’Onda fiorentina, su cui la scure repressiva si sarebbe abbattuta colpendo i giovani che stavano mettendo “pericolosamente” in discussione il futuro del capitalismo, ha evidentemente una visione del tutto soggettiva.

Lo fa esclusivamente in maniera strumentale, nel goffo tentativo – tra l’altro- di ascrivere a se un intero movimento studentesco. Chi ritiene che la repressione agisca esclusivamente in risposta alle lotte, non coglie la profondità dell’agire statuale, a cui  interessa poco colpire un gruppetto di ragazzini agitati di un singolo
collettivo e molto di più l'azione capillare di controllo e criminalizzazione ed il piano generale su cui un singolo processo, di un singolo Pm, si sviluppa.
E’ questa lettura che ha portato negli anni a numerosi momenti in cui la differenziazione l’ha fatta da padrona, dall’invito a disertare il presidio di solidarietà in occasione dell'udienza preliminare del processo sino alla campagna “io m’associo”, volta esclusivamente alla solidarietà verso i 7 compagni/e accusati di Associazione a Delinquere, ignorando volontariamente che ve ne fossero altri 80 da difendere.

Evidentemente peró la solidarietà si dà solo ai propri simili e risulta inutile chiudere i propri comunicati con roboanti "siamo tutti black bloc" se poi il bellissimo slogan “Si parte e si torna insieme” non lo si fa valere anche lontano dalla Valsusa… Di fronte a questa sentenza c’è poco da festeggiare. C’è poco da festeggiare di fronte a diversi compagni/e, condannati fino a 2 anni per essere stati protagonisti dei momenti di lotta e delle manifestazioni di solidarietà dopo i primi arresti, ed è, per noi, estremamente grave, per non dire vergognoso, che non ci si senta di portare almeno sostegno a chi ti ha manifestato il suo.

Per noi la solidarietà politica ha un altro valore, va data a prescindere dall’appartenenza e persino dalla condivisione o meno di alcuni atti, deve essere pratica costante e patrimonio di tutto il movimento di classe. Se noi per primi non diamo i giusti segnali e non torniamo a considerare la solidarietà come elemento fondante di qualsiasi idea rivoluzionaria,la nostra classe continuerà a perdere coesione, legami, relazioni, e il mutuo soccorso lascerà ancora di più il posto all’invidia, alla rabbia e all’egoismo.

La solidarietà è uno strumento e una pratica di lotta che deve esser capace di tenere insieme un ragionamento complessivo per saper meglio contrapporsi alla strategia repressiva, altrimenti corriamo il rischio di relegarla ai soli benefit o slogan, importanti ma non sufficienti, e di esprimerla solo nei confronti dei propri affini e delle pratiche che riconosciamo come nostre.

La solidarietà, invece, a partire dal carcere e al di fuori di esso, deve tenere insieme tutti i soggetti colpiti dalla repressione: dai prigionieri politici fino all’ultimo proletario.

  La solidarietà è parte integrante della lotta e la lotta stessa è solidarietà. Per noi non è un processo chiuso e crediamo che ancora  i/le condannati/e abbiano bisogno di sostegno politico. Quello che è arrivato alla sentenza di I grado è, purtroppo, solo uno dei processi aperti che ci vedono tutti coinvolti. Solo nel mese di dicembre altre tre udienze vedranno decine di compagni sul banco degli imputati per
iniziative antifasciste e contro il Job Act.

A Firenze come in tutta Italia, le lotte politiche e sociali si trovano ad affrontare da molti anni, con intensità diverse ma sempre nel segno di un attacco deciso verso le forme di lotta conflittuali e che si pongono fuori dalle compatibilità, il terreno della repressione. Noi questo terreno dobbiamo praticarlo, dobbiamo praticare e trasmettere analisi e coscienza, non possiamo permetterci oggi più che mai, di lasciare nessuno da solo e continueremo a farlo con tutti/e coloro che su questo terreno vogliono confrontarsi.

 

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