A quanto pare non se ne salva uno… Il sindaco renziano di Milano, Giuseppe Sala, si è “autosospeso” nella notte dopo aver appreso – per vie giornalistiche – di essere indagato per uno degli appalti Expo.
La vicenda si riferisce alla “piastra” – la piattaforma di cemento che ha ricoperto tutta l'area su cui poi sono stati costruiti i padiglioni della esposizione internazionale. Si tratta anche dell'appalto più grande fra tutti quelli che hanno infestato la preparazione dell'Expo.
Sala era stato nominato Commissario all'opera dopo una lunga serie di arresti, indagini, scandali che avevano sostanzialmente decapitato i vertici delle società che stavano preparando l'evento; una “strage” che stava mettendo in discussione il completamento dei lavori e dunque la stessa celebrazione dell'evento.
Con il decisionismo di cui andava fiero, Matteo Renzi colse al volo l'occasione per promuovere Sala e poi proteggerlo da ogni incidente di percorso.
Qualche sospetto sorge venendo a sapere che questa inchiesta era stata archiviata dalla Procura della Repubblica, ma è stata poi avocata dalla Procura Generale che ha proceduto all'iscrizione nel registro degli indagati delle cinque persone per cui era stata chiesta l'archiviazione (due ex manager Expo, Angelo Paris e Antonio Acerbo, l’ex presidente dell’azienda Mantovani, Piergiorgio Baita, vincitrice dell'appalto, e agli imprenditori Erasmo e Ottaviano Cinque), più lo stesso Sala e il costruttore Paolo Pizzarotti, per tentata turbativa d’asta. A Sala viene ora contestato il reato di concorso in «falso materiale» e «falso ideologico» commesso il 30 maggio 2012.
L'episodio era già stato oggetto di indagine, sulla base di un rapporto della Guardia di finanza sulle modalità con le quali, nel maggio 2012, Expo sostituì un componente della commissione aggiudicatrice dell’appalto sulla «Piastra». Un blitz fulmineo finalizzato ad abbreviare la tempistica saltando la procedura standard, che avrebbe prolungato di molto l'avvio dei lavori e quindi anche la loro conclusione.
Procedura un po' troppo veloce, visto che per far quadrare le cose – sulle carte – si sarebbe proceduto a una «palese retrodatazione». Di qui l'accusa di falso materiale e ieologico in atti pubblici elevata ora da parte del sostituto procuratore generale Felice Isnardi
Per i pm quella retrodatazione configurava un “falso innocuo”, che non avvantaggiava nessuno dei concorrenti all'appalto. Per la procura generale, invece, quel falso assume rilevanza penale alla luce del fatto che l'azienda Mantovani si aggiudicò l'appalto con un'offerta al ribasso mostruosa – il 42% in meno rispetto alla base d'asta – che avrebbe dovuto essere considerata del tutto irrealistica («non idonea neppure a coprire i costi»).
Sula caso in questione la Procura di Milano si spaccò fragorosamente, con il contrasto tra l’allora procuratore Bruti Liberati (poi andato in pensione) e il vice Alfredo Robledo (poi trasferito dal Csm). Vinse Bruti Liberati, che avocò l'inchiesta; intervenne anche l'Autorità anticorruzione, si interessarono in tanti. E tutto era sembrato finire in gloria, tanto che Matteo Renzi ringraziò ufficialmente «Cantone, Sala e la Procura di Milano per aver gestito la vicenda Expo con sensibilità istituzionale».
E aveva le sue ragioni. I magistrati che avevano archiviato, infatti, avevano riconosciuto che i responsabili Expo (Sala in testa, dunque) avevano «arretrato la soglia della legittimità dell’agire amministrativo», commesso «numerose anomalie e irregolarità amministrative» nella fase «della scelta del contraente» (la Mantovani). Addirittura avevano permesso «all’appaltatore di entrare in una anomala trattativa "al rialzo" con il committente, ponendo come contropartita la cessazione dei lavori, la cancellazione dell’evento e la credibilità del Paese». Insomma: la Mantovani prima aveva vinto l'appalto con un'offerta mostruosamente bassa, poi gli era stato concesso un aumento altrettanto mostruoso.
Una cosa immonda, per cui era stato logico supporre che fosse corso del denaro (anche se «nonostante gli sforzi investigativi», non era stata «provata l’esistenza» di tangenti), ma giustificata – negli atti dell'archiviazione – come una «deregulation dettata dall’emergenza».
Eh, l'emergenza… Quanti soldi si fanno nel suo nome…
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