’Domina la paura.Trionfa un linguaggio violento e intollerante che manipola l'opinione pubblica facendo leva su un'atavica paura della diversità. L'ignoranza è elevata a motivo di orgoglio e si fregia di liquidare come "buonisti" coloro che non intendono rinunciare alla propria umanità.
E’ l’amico Francesco che comincia così il suo messaggio-confessione sul modo nel quale, una delle zone più ricche della Liguria, liquida il tema dei migranti. Si è parlato assai, almeno nei circoli cristiani ed illuminati della società, di accoglienza e solidarietà, lasciando alla ‘buona volontà’ dei cittadini di gestire le perenni emergenze migranti. Forse questo è stato un limite, fin troppo spiegabile col la consueta improvvisazione perversa che ha accompagnato per decenni le politiche sociali della nostra penisola.
Il discorso avrebbe potuto o forse dovuto essere un altro. Per esempio centrato sulla giustizia globale o allora e prima di tutto nel tentare di smantellare le menzogne che circondano i processi migratori che interessano il mondo intero.
In realtà la lunga marcia di costruzione del finto nemico migrante (irregolare) è cominciata da vari decenni. Come un filo che unisce, pezzo dopo pezzo, le convenzioni, i trattati, le dichiarazioni e gli accordi tra l’Europa e i paesi terzi. Fin dal Consiglio Europeo di Tampere, in ottobre del 1999, si sono andati affermando i principi guida delle politiche europee sulle migrazioni. La lotta all’immigrazione definita clandestina nella ricerca della cooperazione dei paesi di origine e di transito dei migranti è ben presente. Come pure la giustificazione umanitaria nel proteggere i dirittti umani dei migranti e combattere la tratta. Sullo stesso tema si precisa da subito la possibilità di accordi bilaterali per la riammissione dei migranti ‘indesiderati’.
La lunga marcia confluisce nel procsso di Rabat del 2006, di Parigi due anni più tardi e si è andata precisando nella conferenza di Dakar del 2011. Le convergenze sulla necessità di prevenire e limitare il flusso delle migrazioni irregolari e meglio organizzare quelle regolari. Nel novembre del 2014 è stata la volta della dichiarazione di Roma nel quadro del processo di Khartoun. Quattro erano i temi portanti dell’accordo coi Paesi africani: organizzare la mobilità e la migrazione regolare, migliorare il controllo delle frontiere per combattere la migrazione irregolare, sinergia tra migrazione e sviluppo, promozione della protezione internazionale. L’incontro dell’anno seguente a Malta (La Vallette, nel 2015) non ha fatto che riprecisare questi punti arricchendoli e contestualizzandoli. E’ in questa ottica che si dovranno inserire le leggi che vari paesi aficani hanno approvato contro la tratta dei migranti. Ciò è accaduto per fornire arsenale giuridico a quanto dovrebbe accadere ulteriormente nella lotta alla migrazione irregolare.
La lunga marcia che arriva alla Valletta ribadisce i punti conosciuti compreso quello di andare alle radici profonde delle migrazioni. L’aiuto allo sviluppo locale è finalizzato alla riduzione del desiderio di migrare e per questo vengono stanziati fondi per progetti nei paesi che si dimostreranno collaborativi con i desiderata dell’Europa. L’esternalizzazione delle frontiere dell’Europa sono una realtà per chi vive nel Sud del mondo. Si formano controllori e gestori di frontiere e si promuovono le misure che dovrebbero frenare drasticamente le migrazioni intempestive. La ‘guardia civil’ spagnola in Mauritania, le reti uncinate di Ceuta e Melilla nel Marocco, i centri di detenzione in Libia (fin dall’epoca di Gheddafi), le espulsioni in Algeria e il blocco delle frontiere per i migranti in Niger fanno parte del dispositivo di controllo globale.
Quanto accade nei nostri giorni arriva da lontano, ha una storia, una politica e soprattutto un’economia. Che poi l’italica legge sulle migrazioni ‘Bossi-Fini’, abbia potuto reggere e costiituire lo scenario su cui sono state interpretati i movimenti migratori non è una sorpresa. Essa ha contribuito a creare uno sguardo e una seri di politiche volte a manipolare i movimenti migratori in funzione dell’economia del paese, per buona parte sommersa. Ed è a questo preciso snodo che occorre parlre di una lunga marcia della menzogna. In fondo lo si sa molto bene. La politica della paura ha prodotto la paura della politica. Le migrazioni, il modo di gestirle, i sistemi di sicurezza, le esternalizzazioni delle frontiere altro non sono che un grande business, funzionale al sistema di mantenimento dell’attuale sistema neoliberista. Una lotta di classe che si articola con cortine fumogene costituite da Think Tank che sposano la doxa imperante e funzionale agli interessi di chi ha il potere.
Ecco perché dicevo in apertura che il vero tema di fondo è in realtà quello della giustizia globale. La maggior parte delle migrazioni accadono e si sviluppano nel SUD del mondo ed è nel SUD del mondo che si trova il maggior numero di rifugiati. L’Occidente, perso in sentieri senza qualità e preda delle retoriche umanitarie a geometrie variabili, cerca o meglio finge di controllare un processo che in fondo lo mantiene in vita. Le Nazioni Unite hanno una volta di più ribadito che prendere sul serio la demografia implica una migrazione di sostituzione. Per l’Italia il recente documento in questione ricorda che sarebbero necessari almeno 6.500 migranti per milione di abitanti. Farebbe qualcosa come 400 mila persone l’anno, popolazione acquisita che dovrebbe garantire il presente livello di ricambio demografico.
Dunque il problema non sono le migrazioni ‘irregolari’, che come tali non sono altri che il frutto voluto di scelte politiche, quanto la flessibilità e la sottomisione di lavoratori, soggetti svendibili a seconda delle esigenze del mercato. Si creano le condizioni perché la gente fugga dai paesi di origine (fattori economici, politici e soprattutto guerre che rilanciano l’economia). In seguito si selezionano coloro che porteranno il peso maggiore della ‘distruzione creativa’ della nuova tappa dell’economia.
I veri ‘corridoi’ umanitari sono quelli costituiti da coloro che non accettano di piegarsi al sistema e offrono a noi, popoli del NORD, un corridioio umanitario per non perire di vergogna. Conclude così l’amico Francesco:
La vera speranza è che barconi stracarichi di umanità possano sbarcare sulle nostre coste prima che sia troppo tardi, prima che i nostri rappresentanti eletti trovino il modo di affondarli con le armi della paura
Niamey, Marzo 2017
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