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Pillole anticoncezionali… sempre piu a pagamento!

Fa discutere il provvedimento preso dall’Aifa (Agenzia Italiana del farmaco) di declassificare le pillole anticoncezionali di terza generazione, le vecchie pillole nate negli anni ’90 che ancora erano rimborsabili dalla mutua. Tutte quante le specialità della terapia anticoncezionale si trovano infatti abbassate in fascia C, ovvero nella fascia a carico delle tasche dei cittadini senza che le si possa più prescrivere in fascia A quella invece che permetterebbe la rimborsabilità da parte del SSN.

Nel 2015 l’Aifa riclassifica quindi questa classe di farmaci, ma dopo quasi un anno da quando il provvedimento è stato reso attivo, iniziano a contarsi i primi effetti. A parlare è proprio la classe medica che si è espressa attraverso un’intervista realizzata dal Fatto Quotidiano ad alcuni rappresentanti dei medici di base, i quali dichiarano espressamente:“C’è il rischio che ci sia un aumento delle interruzioni di gravidanza. L’unico anticoncezionale che in Italia continua ad essere rimborsato dallo Stato è l’aborto”. Il Sindacato dei medici di famiglia (Smi) vede la manovra come “un passo indietro inaccettabile” e la segretaria generale Smi, Pina Onotri, spiega: “come medico e come donna contestiamo questi ulteriori tagli, risibili in termini di economia, ma che rivestono una forte connotazione politico-culturale”.

A scanso di equivoci, il ministero se ne lava le mani e scarica la colpa sull’Aifa, la quale dichiara che secondo la letteratura scientifica i progestinici presenti nelle pillole di terza generazione hanno evidenziato un maggiore rischio di trombo-embolismo venoso e il provvedimento vuole così evitare un orientamento prescrittivo non del tutto appropriato che il regime di rimborsabilità indurrebbe a fare.

L’EMA, Agenzia europea per i medicinali, nel 2012 aveva già avviato un’indagine in seguito al caso di Marion Larat, una giovane donna francese colpita da un attacco cerebrale dopo l’utilizzo di una pillola anticoncezionale di terza generazione. In Francia infatti già nel marzo 2013 le pillole di terza e quarta generazione non sono state più rimborsate dalla previdenza sociale. Eppure all’epoca, in Italia, un silenzio di pece è calato sull’argomento.

In Italia il consumo corrente dei contraccettivi è soprattutto a carico di quelli contenenti 20 o 30 microgrammi di estrogeno, mentre per quanto riguarda il contenuto di progestinico la prescrizione è così suddivisa: prodotti contenenti gestodene 45%; prodotti contenenti drospirenone 25%; prodotti contenenti desogestrel 10%; prodotti contenenti levonorgestrel 7% (quest’ultimo considerato come più sicuro rispetto al rischio di trombosi e non sottoposto ad indagine dell’EMA).

Prima del provvedimento solo i contraccettivi contenenti 30 microgrammi di estrogeno si trovavano in regime di rimborsabilità, poiché erano stati individuati come “terapeutici” (per dismenorrea, cisti ovariche, acne), mentre quelli a 20 microgrammi erano in fascia C. Non eravamo quindi lontani dagli anni Sessanta, quando la contraccezione era illegale e quando la più antica di tutte le pillole che conteneva solo estrogeni per essere somministrata ginecologhe, ginecologi e donne dovevano per forza dire che serviva per combattere brufoli, peli e baffetti.

Interessanti sono le dichiarazioni di un medico di base del piccolo comune lombardo di Carnago, Maurizio Andreoli, che spiega in realtà come il grosso delle pillole di ultima generazione era già in classe C – facendo riferimento alle pillole più nuove e pubblicizzate dalle case farmaceutiche – e che la riclassificazione ha interessato appunto quelle di terza generazione, che rappresentano circa il 10% del mercato, una nicchia di farmaci che era utilizzata principalmente dalle classi più deboli.

Le politiche sanitarie auspicabili per rendere accessibili, disponibili e sicure le terapie anticoncezionali a tutte le donne potrebbero essere realizzate attraverso il finanziamento di studi epidemiologici e attraverso una vera revisione del regime di rimborsabilità con l’inserimento in fascia A dei prodotti a minor rischio.

Facendo sparire del tutto l’accesso alla contrazione gratuita risulta invece che le categorie più penalizzate dal provvedimento sono state le ragazze molto giovani, famiglie poco abbienti e donne straniere.

Da alcuni anni le donne del mondo stanno occupando le piazze con numeri importanti: dalla Spagna, Brasile; Argentina, Messico, Turchia, Polonia, Francia, Inghilterra, Irlanda, in Italia la piattaforma Non Una di Meno ha promosso due manifestazioni rivendicative nazionali che hanno segnato l’inizio e la continuità di un percorso di lotta. Le donne, scese numerose in piazza, hanno lottato anche per la propria autodeterminazione in tema di aborto e procreazione, chiedendo servizi pubblici e gratuiti e un welfare universale. D’altronde la garanzia di un welfare universale non è compito dell’Aifa, ma della politica che ancora una volta preferisce lavarsene le mani e far ricadere gli effetti sulla classe più debole della popolazione, quella esposta ai maggiori fenomeni di sfruttamento: la classe migrante e tutta la woorking poor soggetta a precarietà e a bassi salari che caratterizzano ancora di più la dimensione dell’occupazione femminile.

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