Ieri a Piacenza siamo andati a trovare i facchini Gls, cacciati per aver aver avuto il coraggio di denunciare il caporale – una donna italiana – che per mesi li ha pagati a nero, 6 euro l’ora, 10 ore al giorno, chiamati a giornata con la promessa che il contratto sarebbe arrivato e con il contratto la possibilità per loro di rinnovare il permesso di soggiorno.
Sono i compagni di Abd El Salam, ucciso durante un picchetto mentre tentavano di bloccare le merci in uscita dal magazzino per protestare per il mancato riconoscimento dei loro diritti. Ucciso perché, in questa realtà ribaltata dove ci hanno catapultato, le merci valgono più delle persone, gli acquisti più dei diritti, i consumatori più dei lavoratori.
«Anche se ci hanno cacciati continueremo a fermare i camion con i nostri corpi fino a quando non ci metteranno in regola. Non abbiamo paura dei padroni ma non picchiamo i crumuri perché non sono loro i nostri nemici di classe, loro sono vittime del ricatto del padrone».
Hanno tra i 20 e i 25 anni, sono arrivati in Italia sui gommoni fuggendo dalla guerra, dalla fame e dalle torture e per questo sanno distinguere i perseguitati dai loro aguzzini.
Racconterò la loro battaglia facendo quel che vorrei fare ogni volta che racconto dei lavoratori in lotta: scrivere il loro nome e cognome. Non vogliono quasi mai, o non possono. Temono ritorsioni, o si vergognano di quello che hanno subito. Lenghane Adive, 24 anni, dal Burkina Faso. Coulibaly Souleymane 26 anni e Coulibaly Assamado, 23, dalla Costa D’Avorio. Bansé Ousmane, 27 anni, dal Burkina Faso. Kabore Ibrahim, 25 anni, dal Burkina Faso. Coulibaly Alassane 27 anni, dal Mali. Dialla Mamadou Hassimiou, 33 anni, dalla Guinea. Diakite Saydou, 22 anni, dal Mali. Loro sono orgogliosi del proprio nome e cognome scritto sul giornale italiano e lotteranno per vederlo scritto sul contratto che gli spetta.
Grazie a Usb che li affianca nella lotta, grazie a Potere al popolo che mi ha accompagnato da loro. Che mi ha dato la possibilità di rispondere ai giornalisti che volevano sapere cosa ne pensassi della violenza, che la violenza è quella degli sfruttatori e quella sanguinaria di chi ha legalizzato lo sfruttamento e di questa violenza i giornalisti dovrebbero occuparsi e preoccuparsi invece che cercare i violenti tra gli antifascisti. Che i peggiori violenti, quelli che fanno più vittime anche se sembrano pacifici quando li vedi seduti in un salotto tv, sono quelli che fanno macelleria sociale e non si sentono responsabili della malattia, della miseria, della morte che seminano. Quelli che manipolano l’informazione per ribaltare la realtà e farci credere che i violenti siano quelli che si ribellano, quelli che fanno resistenza.
Niente di nuovo: per i fascisti i partigiani erano banditi e i grandi giornali – no: i giornali grandi – erano complici dei fascisti.
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