È uscito qualche giorno fa sul Sole 24 ore un report che fa il punto sulla condizione di una particolare categoria di lavoratrici, quella delle “mamme che vivono da sole”
Il rapporto segnala che sono un milione e 34 mila in Italia le famiglie monogenitoriali, e di queste, quasi un milione sono donne, che vivono con almeno un minore a carico (quasi il 40 % con 2 figli a carico e il 9% con ben 3 figli). Una condizione, secondo l’ISTAT, che è in crescita esponenziale dagli ultimi decenni.
Rispetto al passato aumentano le madri single, anche se diminuisce il numero di figli a loro carico, in continuità con il dato generale per cui “la gente non fa più figli”.
Rispetto agli anni 80 probabilmente la consapevolezza dell’emancipazione, ma anche la consapevolezza della maternità, e le difficoltà economiche che si affrontano per crescere un figlio, fa gioco forza nella diminuzione del numero di minori a carico, ma i dati sulla condizione sociale che le donne madri sole si ritrovano a vivere è abbastanza allarmante. Oggi avere un figlio, e non avere un welfare adeguato per sostenere la sua crescita in modo dignitoso, non è più un dovere dello Stato, anzi, per il libero mercato sta diventando un peso, un “costo” da ridurre.
Come vivono queste donne? Secondo l’ISTAT almeno due terzi di esse lavorano, ma il dato interessante è che rispetto a 10 anni fa, questa percentuale si è abbassata, mentre è in aumento quella delle donne madri single in cerca di lavoro e che non riescono a trovarlo. Di certo, la recente sentenza della Corte di giustizia europea che avalla la possibilità per le aziende di licenziare donne in gravidanza non aiuta la situazione, già difficile, di una donna madre che può contare solo su se stessa, anzi. La donna-madre-lavoratrice diventa un peso morto che si può e si deve sacrificare in nome del profitto.
Alle donne disoccupate o casalinghe, o a quelle in cerca di lavoro, lo Stato offre sperimentalmente un “premio alla nascita”, che per quest’anno è di 800 euro, un bonus natalità per due anni (di 80 o 160 euro al mese a secondo dell’Isee), un bonus asilo nido, i cui fondi però vengono rinnovati ogni anno… finchè ci sono.
E’ facile capire che con un welfare pressochè inesistente, in cui tutto si paga, dalla maternità, all’asilo, alla scuola alle attività sportive e di doposcuola, molte di queste donne preferiscano (o siano portate a preferire) un lavoro part-time, per dividersi tra la necessità di avere un reddito ma di accudire anche un figlio.
Il risultato allarmante riportato anche dal Sole 24 ore, è che il 43,7% di queste donne (e di conseguenza pure la prole) è a rischio di povertà o di esclusione sociale (contro il 29.3% delle donne che vivono in coppia), e ben l’11.8% vive in condizioni di povertà assoluta. Si tratta di più di 300 000 donne nel primo caso, e di quasi 100 000 nel secondo.
Tutto ciò esprime una condizione sociale che è ben più che allarmante e che nel prossimo futuro potrebbe rischiare di peggiorare. Una condizione assai lontana dall’essere una questione di autodeterminazione della donna, che decida consciamente o inconsciamente come vivere la sua vita e la sua funzione riproduttiva. L’abbandono di qualsiasi forma di sostegno alla famiglia da parte dello Stato, tanto più se monogenitoriale, sta creando delle sacche di povertà sempre maggiori, ma soprattutto è destinata a creare un vortice che coinvolgerà con larghe possibilità anche le generazioni future. Dietro questi dati, quello che si sta esprimendo è un altro lato oscuro della guerra di classe in atto (dall’alto) in questa fase storica, in cui se sei povero o sei in difficoltà, non potrai che diventare più povero e più in difficoltà.
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