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“Fermate il Giro per lutto!”. Stop all’eccidio dei palestinesi. Contestazioni tappa su tappa

Sta diventando virale l’appello a fermare per un giorno il Giro d’Italia per lutto, come atto dovuto di riparazione verso i palestinesi dopo la vergognosa decisione della Rcs/Gazzetta dello Sport e delle autorità sportive italiane di far partire il giro da Israele. Una decisione che, nonostante mesi di appelli a rivedere quella scelta, ha legittimato l’occupazione israeliana di Gerusalemme/Al Quds come capitale ed ha coperto la strategia di annichilimento delle istanze del popolo palestinesi palesatasi con l’eccidio avvenuto a Gaza.

Qui sotto le foto della contestazione della tappa del Giro d’Italia in Umbria dopo quelle già avvenute nelle tappe in Sicilia, Campania, Abruzzo.

Il Giro d’Italia transita nella nostra Regione mentre in Palestina si ricorda la Nakba, la “catastrofe”, quando 700.000 palestinesi furono cacciati dalle proprie case e terre e trasformati in profughi, nel biennio 1948–1949. E mentre al-Dali, ciclista della Federazione Palestinese di Ciclismo, designato a gareggiare nei Giochi Asiatici 2018 in Indonesia, ha dovuto subire l’amputazione di una gamba in seguito ad un proiettile esplodente sparato dai cecchini israeliani al confine con Gaza, la stessa sorte subita da altri 5 atleti” scrivono gli attivisti solidali con i palestinesi in Umbria.

Altre contestazioni si annunciano nelle prossime tappe nelle altre regioni. Ma è evidente che l’indifferenza degli organizzatori del Giro della vergogna di fronte alla richiesta ormai esplicita di fermare il Giro per un giorno come lutto, sta innalzando il livello di rabbia e delle proteste. Gli organizzatori non possono trincerarsi dietro le motivazioni economiche. Hanno ricevuto 19 milioni da uno sponsor israeliano per legittimare una operazione ideologica su Gerusalemme che ha provocato decine di morti e migliaia di feriti tra i palestinesi. Non possono pensare di cavarsela gratis.

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4 Commenti


  • Andrea B.

    Organizzare una manifestazione nazionale (con azioni finalizzate a bloccare anche parzialmente la corsa) domenica 27 maggio a Roma durante l’ultima tappa?


  • Federico

    Il servizio del Tg La7 di Enrico Mentana ieri sera su Gaza e l’articolo di oggi di Fabio Scuto su Il Fatto Quotidiano fanno accapponare la pelle. Questo è sionismo ultrà, altroché. E questa sarebbe l’informazione in antitesi rispetto a quella di regime?


  • Giorgio Locatelli

    TUTTE LE REGIONI DOVE PASSA IL GIRO DEVONO FARE LA STESSA COSA. ‘SPUTTANARE GLI ORGANIZZATORI DI QUESTA CORSA ROSSO SANGUE PALESTINESE


  • Lorenza Erlicher

    Anche a Trento buona presenza nel nome della Palestina. Ioo mandato questa lettera ai giornali locali (ovviamente non pubblicata)
    Dopo l’adunata di pace degli alpini, ora avremo l’onore di avere il Giro d’Italia di Pace. Con tanta belle iniziative di pace c’è da stupirsi che ci sia ancora in giro tanta guerra, nemmeno troppo distante da noi e che il mercato della armi sia fiorente come non mai. Questo del 2018 viene definito Giro della Pace solo perché parte da Gerusalemme (doveva essere Gerusalemme ovest, la parte su cui il diritto internazionale riconosce sovranità israeliana, ma i finanziatori-occupanti hanno protestato e l’organizzazione ha abbassato le orecchie), passa per Assisi, Roma, Rovereto…con una logica da mercato delle indulgenze plenarie si riesce a “dimenticare” che solo una settimana fa a poca distanza dal luogo di partenza c’è stata una carneficina. Solo l’ultima e la più grave di una lunga serie, e comunque in un contesto dove oppressione e violazione dei diritti umani e del diritto internazionale sono cosa nota. Gli organizzatori che nel nome dello sport come veicolo di dialogo si sono prestati a questa operazione di normalizzazione dell’occupazione, e sono riusciti a non dire una parola sui palestinesi, dovrebbero avere almeno il buon gusto di lasciar perdere la parola pace.
    Suggerisco, per ritrovare coerenza, di organizzare per il prossimo anno il Giro della Guerra.
    Di luoghi significativi da questo punto di vista se ne trovano a volontà: partenza estera da Siria o Yemen, (ma chi sa che anche il Libano l’anno prossimo non abbia pieno titolo per candidarsi), o perché no anche dalla Grecia massacrata dalle misure salvafinanza. Passaggio siciliano fra Niscemi, dove sulla popolazione incombono le emissioni elettromagnetiche del sistema americano di comunicazioni satellitari Muos, e Sigonella, hub dell’aviazione Usa. Tappa napoletana a Lago Patria, sede di uno dei comandi strategici operativi della Nato. Trasferta poi a in Sardegna a Domus novas, dove si costruiscono le bombe che i sauditi sganciano sugli yemeniti. Si riattraversa poi il Tirreno per arrivare a Camp Darby, deposito di missili e ordigni per tutte le forze Usa. Si sale verso al nord verso Cameri, luogo di assemblaggio degli F35. Magari si può fare una puntata verso la Val di Susa militarizzata per difendere il cantiere Tav , che non serve ma si deve fare lo stesso. Poi Ghedi, base Usa dove ospitiamo, in violazione del Trattato di Non Proliferazione sottoscritto, le testate nucleari B-61 (quelle vecchie, le nuove B61-12 arriveranno solo nel 2020), via poi verso Vicenza, sede delle basi Ederle e Dal Molin, per concludere alla base Nato di Aviano, dove, oltre a omaggiare altre testate atomiche, potremmo avere la fortuna di veder partire i jet impegnati in qualche “missione di pace”. Ho l’impressione che l’Italia della guerra offra molte più opportunità di quella della pace, e farle conoscere sarebbe un vero servizio alla pace.

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