I luoghi comuni sono la discarica del pensiero umano. Quelli sui Rom sono decine, uno peggiore dell’altro, e nemmeno un cane che si chieda se la stronzata che sta ripetendo a memoria abbia un senso o no.
Tutti hanno in testa quella piccola pattuglia che chiede l’elemosina, quella che fa borseggio in metro o sui bus, o addirittura i Casamonica e gli Spada, come se “gli italigliani” fossero perfettamente rappresentati dai pusher, Riina o Marchionne…
Si sa, i fenomeni complessi richiedono fatica, letture, elaborazione concettuale. L’”economia di pensiero” è invece comoda, come un’app o una fake news. Basta prendere la prima che ti serve et voilà, hai “la tua idea” da seminare in giro come un virus.
Poi qualcuno va a guardare da vicino e scopre una realtà più cruda, brutale, infamme. Ma non speriamo che gli idioti del pensiero in prestito si vergognino di quel che hanno fin qui detto. Tanto più se hanno da gestire un partito che, a forza di luoghi comuni infami, li ha portato su poltrone remunerative.
Il pezzo che vi proponiamo sembra rivoluzionario, ma è apparso sul più tradizionale degli organi di stampa: l’Avvenire, edito dalla Cei (i vescovi italiani, insomma).
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Sono le 4.45, ed è ancora buio a Mondragone. Eppure in via Razzino, sotto quattro palazzoni rossicci c’è già un gran movimento. Centinaia di persone, soprattutto donne, alcune molto giovani, sono sedute a gruppetti sul bordo del marciapiede. Hanno zainetti e borsoni. Ogni tanto si ferma un pullmino o un furgone. Salgono e via. Uno, due, dieci, venti e più volte. È il mercato delle braccia. Braccia bulgare. Braccia rom. Vittime di caporali bulgari e italiani. Sfruttati da imprenditori italiani. Un caso unico in Italia (solo a Borgo Mezzanone nel Foggiano, ce n’è uno analogo ma molto minore).
Più di 2mila persone che da quattro anni lasciano la Bulgaria, in particolare la regione di Sliven, per raggiungere la cittadina sul litorale domitio casertano. Duemila persone su 30mila abitanti, una presenza che non passa inosservata. In gran parte per 4-5 mesi, altri fino a 8-9, qualche centinaio stanziali. Arrivano famiglie intere, bambini compresi, quasi tutti vivono dei ‘palazzi Cirio’, quattro edifici di dieci piani, fine anni ’70. Fortemente degradati, fuori (i balconi perdono pezzi) e dentro. Proprietari italiani che si fanno pagare, ovviamente in nero, almeno 100 euro a persona al mese.
Tutto fuori legge. Così in un appartamento arrivano a vivere anche 10-15 persone, magari in subaffitto tollerato, come ci racconta il vicario generale della Diocesi di Sessa Aurunca, don Franco Alfieri, per quaranta anni parroco di questa zona. Palazzi che dovevano essere abbattuti o almeno sequestrati e che invece sono diventati un’isola bulgara in terra campana. Presenze regolari, i bulgari sono cittadini comunitari, lavoratori. Sì, rom che vengono in Italia per lavorare e che in Italia vengono sfruttati. Uomini, donne e bambini. Non siamo in una lontana periferia. I caporali agiscono nel centro della città, vicino alla grande via Domitiana, l’antica via Appia. Niente di nascosto.
Eppure alle 5 nessuno controlla i pullmini e gli “autisti”, né forze dell’ordine né polizia locale. Neanche per verificare i documenti dei mezzi e quante persone trasportino. Tutti sanno, nessuno interviene. Ma verso l’ora di pranzo quando torniamo per incontrare l’attuale parroco don Osvaldo Morelli, i vigili urbani, con tanto di furgone attrezzato, ci fermano proprio in via Razzino per un controllo dei documenti. Niente alle 5 sul mondo illegale, controlli inutili a mezzogiorno, tutti i giorni. Mentre dove sedevano le bulgare ora ci sono mucchi di sacchetti di rifiuti. Vediamo rientrare alcune ragazze, tutte in fila. «Tornate dal lavoro?». «Sì, sì», rispondono senza fermarsi. Ma in fondo alla fila una donna più anziana le zittisce.
«No, no». È una caposquadra, una sorta caporale di secondo livello. Intanto sui campi, tra Modragone, Villa Literno e altri comuni dell’Alto Casertano, va di scena lo sfruttamento. Fino a sera. Come ci spiega Tammaro Della Corte, della Flai Cgil di Caserta, che ci accompagna in questo prima tappa del nostro reportage sul caporalato, gli uomini prendono tra 2 e 4 euro l’ora (il contratto ne prevede 7,5), le donne tra 1 e 1,5 euro, i minori 1 euro. E non è raro che a lavorare sia un’intera famiglia, che alla fine per quattro persone prende poco meno della paga oraria contrattuale di un solo bracciante, lavorando fino a 12 ora, quasi il doppio delle 6,5 previste.
Mentre non meno di 5 euro al giorno finiscono in tasca al caporale o ai caporali, uno italiano che tiene i rapporti con gli imprenditori e uno bulgaro che gestisce la manodopera. Sicuramente dietro ci sono organizzazioni che coinvolgono gli imprenditori in una sorta di “borsa della manodopera” che decide i salari al ribasso. Che dietro ci siano organizzazioni criminali lo confermano alcuni gravi episodi, come l’incendio di alcuni furgoni e aggressioni. In un clima di crescente tensione (non sono rare le risse tra bulgari, anche perché gira molto alcol), con attività parallele come il contrabbando di sigarette. E pochi controlli. Cosi tra aprile e settembre. Qui sui campi opera il “sindacato di strada” della Flai.
«Avevamo provato anche sotto i palazzi – ci dice Tammaro – ma era troppo pericoloso, ci hanno minacciati ». Non esagera. La nostra presenza estranea viene subito notata, soprattutto dai caporali. Meglio allontanarsi e raggiungere i campi. Gli operatori del sindacato distribuiscono volantini che in varie lingue spiegano i diritti dei lavoratori. I braccianti ci accolgono bene, smettono di lavorare, chiedono informazioni. Sono “liberi” perché il caporale non c’è. Ma quando ci spostiamo in un altro campo la scena cambia. Testa china sul terreno, non rispondono. Qui il caporale c’è e si vede. E gli imprenditori? «Alcuni ci accolgono bene, ci tengono a farci vedere i contratti. Ma altri ci cacciano impugnando la vanga». Comunque i braccianti sono interessati. «Alcuni vengono nelle nostre sedi a lamentarsi che la paga non è quella che avevano promesso in patria. Le donne ci raccontano delle molestie subite. ‘O accetti o non lavori’, dicono i caporali bulgari e italiani».
E soprattutto le donne sono anche le vittime delle condizioni estreme del lavoro in serra. Tante dermatiti per il contatto coi pesticidi e infezioni vaginali per la mancanza di servizi igienici. Nella zona dei ‘palazzi Cirio’ c’è l’impegno della diocesi, parrocchia di San Rufino. Don Osvaldo, che è anche direttore della Caritas diocesana, ci spiega che la mensa ‘Pane quotidiano’ garantisce ogni giorno 80 pranzi, due terzi a stranieri, quasi tutti bulgari, maschi, «perché le donne sono sui campi». Ogni mese viene distribuito un pacco con viveri, vestiti e medicine. «Lo ritirano le donne la sera quando finiscono il lavoro».
Ma la preoccupazione maggiore sono i bambini. «Non vanno a scuola. Solo dopo un nostro esposto 5 di loro sono stati inseriti, compreso un disabile. Alcuni vengono in parrocchia ma fanno fatica anche per colpa della lingua. Per questo a ottobre cominceremo dei corsi». Ma non basta. Il vicario don Franco Alfieri non è tenero coi suoi concittadini. «La colpa di questo degrado è anche di quei mondragonesi che per lucro affittano gli appartamenti in palazzi senza manutenzione che non dovrebbero avere l’agibilità». Ma intanto in quei palazzi duemila persone sopravvivono. E all’alba si vendono ai caporali.
* da L’Avvenire
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