La storia di Aldo dice 26×11 inizia nel 2014, quando circa duecento persone, singoli e famiglie, occupano a Sesto San Giovanni un residence di Alitalia mai utilizzato. Si tratta, nella maggioranza, di persone sfrattate, impossibilitate a pagare affitti esorbitanti, spesso in attesa di un alloggio popolare che non arriva mai. Proprio per questo, il collettivo Aldo dice 26×1 denomina quel luogo “residence sociale”, quasi a voler indicare la temporaneità della sua funzione abitativa. Si forma comunque una comunità coesa, solidale, in cui i singoli coabitano serenamente con le famiglie, gli italiani con gli stranieri e con gli italiani di origine straniera.
Nel 2016 il primo sgombero e il trasferimento a Milano, nella zona Corvetto, in via Oglio. Il palazzo è di proprietà privata, inabitato da anni durante i quali è stato devastato dai ladri di rame, spogliato di molte attrezzature essenziali e ormai è luogo di spaccio e di traffici illegali.
Il collettivo Aldo dice 26×1 si rimbocca le maniche e rimette tutto a posto. Il palazzo si trasforma non solo in un luogo abitativo confortevole, ma diventa progressivamente anche un luogo d’incontro per il quartiere. Il suo ristorante popolare, le iniziative musicali e culturali che si svolgono nel salone del pianoterra ne fanno un punto di ritrovo per i cittadini della zona e anche per iniziative di carattere politico.
La situazione ha una brusca svolta all’inizio dell’estate quando l’A2A, compagnia di gestione del servizio elettrico a Milano, decide, su richiesta del proprietario dello stabile, di tagliare l’elettricità agli abitanti il giorno 6 settembre. Nessun intervento da parte del Comune, che pure attraverso l’assessore ai servizi sociali aveva ventilato più volte una vaga disponibilità a proporre soluzioni definitive per il diritto alla casa dei membri del collettivo.
Inizia allora una storia complicata, che porta il collettivo (oggi costituito da circa 200 perone, tra cui 87 minori), a peregrinare per Milano, sino a tornare alla vecchia sede di Sesto San Giovanni, trovata esattamente come era stata lasciata due anni fa, compresi i disegni dei bambini ai muri e una luce dimenticata accesa.
Nessuno aveva mai messo piede in quel palazzo, ritenuto così “necessario” da motivarne lo sgombero. La cacciata dalla sede di Sesto è immediata e piuttosto brutale. Interviene personalmente il sindaco, che ringrazia Salvini di avere emanato un decreto che incita agli sgomberi immediati di tutte le occupazioni, anche senza che sia possibile trovare una qualunque soluzione abitativa per gli occupanti. Ora il collettivo ha trovato una nuova sede in Via Stephenson, all’estremo nord di Milano, in una “torre” simbolo delle speculazioni di Ligresti, disabitata da vent’anni.
Al momento non sappiamo come gli eventi si svilupperanno, ma possiamo sviluppare alcune considerazioni che discendono dalla vicenda. Anzitutto, i componenti di Aldo dice 26×1 non sono persone in condizioni di particolare marginalità sociale, sono semplicemente singoli e famiglie che, per ragioni economiche, non possono permettersi di pagare i mutui e gli affitti esorbitanti di Milano, dove un semplice monolocale può costare anche 700 euro di pigione al mese. Questo anche a causa di una situazione disastrosa dell’edilizia popolare a Milano ma più in generale in Italia, dove gli alloggi popolari sono circa il 3,5% del mercato edilizio (vent’anni fa erano il 5%) mentre nel resto d’Europa rappresentano il 20% circa.
Inoltre, l’esperienza di Aldo dice 26×1 dimostra che a Milano le case ci sono, sfitte da anni, ma inaccessibili alle classi popolari. Milano è una città zeppa di palazzi disabitati e ancora si continua a costruire per ragioni di speculazione edilizia, come dimostrato dal caso dei palazzi “mostro” di Porta Vittoria, il cui costruttore è stato condannato a diversi anni di carcere, mentre il complesso urbanistico resta completamente disabitato. In altri casi, la costruzione di nuovi palazzi serve a riciclare denaro di provenienza illecita.
Milano è una città che si è trasformata da centro operaio a capitale della finanza, dove Beppe Sala è passato direttamente dalla poltrona di manager dell’Expo a quella di sindaco, continuando nella politica delle “grandi opere”, reclamando le Olimpiadi invernali e la sede dell’Agenzia europea del farmaco, che si prepara a un maquillage estetico con la riapertura dei Navigli, ma dove la vita per le classi popolari è sempre più dura e comporta spesso l’espulsione fisica dal territorio per i costi insostenibili.
Chi risponde a questa situazione rivendicando il diritto a occupare gli alloggi sfitti trova come unica risposta la repressione. Il decreto Salvini, di cui Aldo dice 26×1 è solo la prima vittima, difende a oltranza la proprietà privata, vista come un diritto sacro e non legato, come previsto anche dalla Costituzione, a un suo uso sociale. Tale decreto, per cui chi occupa può essere sgomberato anche in assenza di qualunque soluzione abitativa, è peraltro l’ultimo anello di una lunga catena di provvedimenti repressivi contro le occupazioni di stabili.
A questo proposito si ricorda il decreto Lupi del 2014 (governo Renzi) che, in concomitanza di una serie di provvedimenti volti a salvare Expo 2015 dalla raffica di denunce e arresti per illeciti che si erano verificati, ha introdotto gravi pene per chi occupa case sfitte, come il divieto di allacciare utenze e l’esclusione per cinque anni dalle graduatorie per gli alloggi popolari.
1 Aldo dice 26×1 è il messaggio in codice trasmesso dal CLN come segnale per l’avvio dell’insurrezione generale del 25 aprile 1945.
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