“Il regionalismo differenziato è la modifica del riparto costituzionale delle competenze in materia di salute tra Stato e regioni”. Pubblichiamo una lucida analisi del prof. Ivan Cavicchi sotto forma di lettera aperta al Ministro della Sanità Paola Grillo. Il prossimo 15 febbraio tutte e tutti sotto Montecitorio per fermare la secessione dei ricchi.
“Relativamente alle dichiarazioni fatte ieri dal ministro Grillo sul regionalismo differenziato (QS 23 gennaio 2019) rispondo: no, caro ministro Grillo tra “il rischio di una giungla normativa” e quello di “non erogare i servizi” ci dovrebbe essere un ministro della Salute capace di fare il suo mestiere con intelligenza, con onestà intellettuale, con spirito riformatore e soprattutto con coerenza nei confronti del mandato politico che ha ricevuto dai propri elettori, nell’interesse primario del suo governo e del suo paese.
Lei come ministro dovrebbe, prima di ogni cosa fare il suo dovere quindi proporci politiche adeguate per evitare sia la giungla normativa che la non erogazione dei servizi.
Se non è il governo a farlo mi dica ministro, chi dovrebbe farlo?
Che senso ha far fare alle regioni quello che dovrebbe fare lei come governo ma che non fa?
La mia impressione è che lei:
– non abbia ancora capito che il regionalismo differenziato è la modifica del riparto costituzionale delle competenze in materia di salute tra Stato e regioni cioè è la rinuncia da parte dello Stato centrale quindi del governo di potestà legislative, senza le quali questo sistema smette di essere universalistico
– non abbia ancora capito che “l’autonomia differenziata” consente l’attribuzione alle regioni di competenze statali relative ai principi fondamentali in materia di salute e ricerca scientifica e che grazie a questa attribuzione il SSN non ci sarà più
Lei ministro Grillo sta avallando la fine del SSN. Se ne rende conto o no?
Un ministro che non ci ha detto subito la verità
Lei ministro ci ha fatto credere, in questi mesi, di essere contraria al “regionalismo differenziato”, quando risulta dalle sue stesse dichiarazioni che lei, senza nessun mandato politico da parte del suo movimento, quindi senza nessuna condivisione, è sempre stata favorevole a questa sciagurata contro riforma.
“Concordiamo assolutamente con questa direzione e sarà quella che cercheremo di seguire in questi anni di mandato governativo”.
E’ quanto ha dichiarato 6 mesi fa in occasione di una visita alla regione Toscana. (QS 31 luglio 2018).
Mi chiedo chi l’ha autorizzata del Movimento a distruggere il SSN? Dove è scritto che il Movimento 5 stelle propone di distruggere il SSN? Si rende conto o no dell’enormità di quello che sta facendo?
Non un solo elettore M5S l’ha votata idealmente come ministro della Salute per mandare in malora l’attuale sistema sanitario pubblico. Il suo Movimento è stato votato da milioni di cittadini per difendere un patrimonio quello del SSN, senza il quale l’applicazione universale del diritto costituzionale non sarebbe possibile. Lei come M5S sta facendo quello che neanche il PD ha osato fare. Ridiscutere la natura nazionale e universale del sistema.
Ora ci viene a dire che “ho letto le richieste di autonomia e sono legittime e dobbiamo dare alle regioni che lo vogliono la possibilità di usare i propri strumenti per erogare i servizi”. Ma scherza?
Nel dare via libera al regionalismo differenziato chiesto da tre regioni su 21, non solo lei sta tradendo il suo mandato politico, quindi milioni di cittadini, ma sta mettendo nei guai il proprio governo perché in nessun modo, lei, come ministro della Salute, ne sta garantendo l’autorevolezza e la credibilità. Il suo dovere non è calare le brache perché non sa dove andare a parare, ma è mettere in campo soluzioni equilibrate a garanzia prima di tutto del governo del paese.
Contro-riformismo passivo
Lei dichiara di aver ricevuto “tutte le rassicurazioni del caso” ma quali sono le sue contro-proposte? Lei da quello che si capisce non ha proposte per cui non le resta che conformarsi a quelle avversarie degli altri.
Il problema vero è perché lei non ha proposte quando dovrebbe averne e se sia giusto che a causa dei suoi grossolani limiti politici compromettere un patrimonio nazionale di immensa portata etica e sociale.
Lei mio caro ministro sta inaugurando suo malgrado una categoria politica da offrire all’analisi e che definirei “contro-riformismo passivo”. Il contro-riformatore passivo è colui che non avendo un pensiero, una proposta, una politica in grado di contrastare eventuali politiche distruttive le asseconda con le sue incapacità quando in ragione del suo mandato dovrebbe contrastarle. Il contro riformista passivo è quello che si arrende cioè incapace di difendere la propria città spalanca le porte al nemico considerandolo un ospite gradito.
Per la sanità avere come ministro un contro-riformatore passivo significa non avere nessuna difesa. Cioè non avere una rappresentanza istituzionale. Le ricordo ministro Grillo che tutte le federazioni professionali le chiedono a gran voce l’apertura di una discussione.
Il contratto di governo
Ma supponiamo di avere un vero ministro della Salute e supponiamo che questo ministro sia coerente con il suo mandato politico, nel primario interesse del proprio governo, nei confronti del regionalismo differenziato cosa dovrebbe fare?
Per prima cosa dovrebbe rileggersi il contratto di governo in questo modo scoprirebbe una importante contraddizione politica e capirebbe che il problema non è calare le brache ma rimuovere la contraddizione.
Quale contraddizione?
Il contratto di governo prevede due punti:
– l’autonomia differenziata in attuazione dell’art. 116, terzo comma, della Costituzione” (20. Riforme istituzionali, autonomia e democrazia diretta)
– la sanità (21. Sanità)
Nel punto 21 a proposito di sanità si dice:
– è prioritario preservare l’attuale modello di gestione del servizio sanitario a finanziamento prevalentemente pubblico e tutelare il principio universalistico su cui si fonda la legge n. 833 del 1978 istitutiva del Servizio Sanitario Nazionale;
– tutelare il servizio sanitario nazionale significa salvaguardare lo stato di salute del Paese, garantire equità nell’accesso alle cure e uniformità dei livelli essenziali di assistenza.
– va preservata e tutelata l’autonomia regionale nell’organizzazione dei servizi sanitari mantenendo al governo nazionale il compito di indicare livelli essenziali di assistenza, gli obiettivi che il sistema sanitario deve perseguire e garantire ai cittadini la corretta e adeguata erogazione dei servizi sanitari erogati dai sistemi regionali
Un vero ministro della Salute non dovrebbe aderire semplicemente al punto 20 ma dovrebbe adoperarsi per rimuovere le contraddizioni tra il punto 20 e il punto 21. Come? Con delle controproposte cioè tirando fuori delle idee per trovare soluzioni di compossibilità in modo da riconoscere maggiore autonomia alle regioni che la chiedono e nello stesso tempo salvaguardare tutti i valori richiamati nel punto 21. Lo so non è facile ma fare il ministro non è facile. Non lo sapeva il ministro Grillo quando ha accettato il mandato?
Facciamo un esempio: la questione della governance
Nel contratto di governo, che il ministro Grillo mostra di non conoscere, il regionalismo differenziato è concepito dentro una interessante logica federalista fino a parlare di “logica della geometria variabile che tenga conto sia delle peculiarità e delle specificità delle diverse realtà territoriali sia della solidarietà nazionale”. Per il contratto di governo si tratta di “avvicinare le decisioni pubbliche ai cittadini (…) e trasferire funzioni amministrative dallo Stato alle Regioni e poi ai Comuni secondo il principio di sussidiarietà”.
Dall’altra parte le tre regioni Veneto Lombardia Emilia Romagna nei loro accordi preliminari chiedono tra le varie cose: “una maggiore autonomia nella definizione del sistema di governance delle aziende”.
La mediazione possibile è quella di definire una nuova forma di governance di autentico stampo federalista, quindi uscire una volta per tutte dalla logica del decentramento ammnistrativo del titolo V, ripensare il modello manifatturiero dell’azienda, concepire un management diffuso nel quale coinvolgere gli operatori e prevedere forme di controllo sociale dei cittadini.
Cosa vogliono in realtà le regioni? Vogliono restare nel decentramento amministrativo ma con più poteri, non vogliono più autonomia ma più autarchia, in ragione della quale hanno bisogno di centralizzare la gestione della sanità ad esempio con soluzioni tipo “azienda zero” , quindi di escludere dalla funzione di governo tanto gli operatori che i cittadini.
Il regionalisno differenziato vuol dire un super-amministrativismo nulla di più
Esso non è il federalismo di cui si parla nel punto 20 del contratto di governo, ma è un finto federalismo come lo è stata nel 2001 la riforma del titolo V, quindi non è altro che un puro trasferimento di poteri da istituzione a istituzione, ma, in nessun caso è condivisione del potere come dice il contratto di governo, tra istituzione e società civile tra regioni e comuni.
E’ questo ciò che vuole il governo? E’ questo ciò che serve alla sanità? Ma se non è questo il ministro della salute, cosa propone?
Vorrei suggerire al ministro di leggersi un mio articolo di quattro mesi fa (QS 29 ottobre 2018) di cui le ricordo il titolo “Oltre l’autonomia. Per la sanità abbiamo bisogno di un’altra forma di governo” e la sinossi “Il regionalismo differenziato è una falsa soluzione. Per governare il conflitto epocale che riguarda la sanità che è quello che contrappone le risorse ai diritti, oggi è necessario abbandonare la teoria del decentramento amministrativo per assumere quella di un vero federalismo intelligente”.
Quando non si hanno idee e per tante ragioni non si è competenti la migliore cosa è leggere le idee degli altri cioè è studiare. Ma se non si hanno idee e non si studia per fare il proprio dovere è ovvio che alla fine si è costretti a spalancare al nemico le porte della città.
Autarchia
Ho il fondato sospetto che tutti i nostri problemi derivino non solo da un ministro poco preparato ma soprattutto da un ministro poco politico.
Sarebbe bastato che il ministro leggesse il dossier dell’ufficio ricerche sulle questioni regionali e delle autonomie locali del Senato: Il regionalismo differenziato e gli accordi preliminari con le regioni Emilia-Romagna, Lombardia e Veneto (maggio 2018) per rendersi conto della complessità in gioco ma soprattutto per rendersi conto dei pericoli politici che come paese stiamo correndo.
Se il ministro avesse letto il dossier avrebbe capito ad esempio che ciò che chiedono le regioni:
– non è più autonomia per fare meglio dentro uno schema istituzionale dato,
– ma è più autarchia per fare di più a scapito dello Stato fuori quindi da uno schema istituzionale dato.
E’ questo a fare del regionalismo differenziato una pericolosa contro riforma costituzionale.
Autarchia e per fare cosa?
Le regioni sulla sanità, si legge nel dossier, chiedono sostanzialmente tutte e tre le stesse cose e tutte e tre con grandi implicazioni contro-riformatrici e nello stesso tutte e tre relative ai loro grandi problemi di sostenibilità finanziaria.
Tutto si basa sul presupposto che le regioni non avranno mai risorse adeguate alle loro necessità di gestione e che per compensare i problemi dell’insufficienza hanno bisogno di avere le mani libere di fare quello che per ragioni di universalità non hanno mai avuto il permesso di fare.
Il presupposto è quindi che in ragione dei limiti economici tutto è permesso.
Come fa un ministro della salute serio del M5S ad accettare questo presupposto? Come fa un ministro 5 stelle ad accettare il principio base del neoliberismo cioè il laissez faire?
Cosa chiedono le regioni?
Cinque cose:
– autarchia sul lavoro professionale, sui contratti, sulla formazione, sulla specializzazioni, sulle scuole di formazione, sui contratti a tempo determinato (contratti specializzazione lavoro), contratti regionali, sugli accordi territoriali con l’università, sulla attività libero professionale, sugli incentivi, sulla gestione delle competenze, sulla flessibilità del lavoro, sulla definizione dei ruoli professionali
– autarchia per lo svolgimento delle funzioni relative al sistema tariffario, di rimborso, di rimunerazione e di compartecipazione, di tickets ecc
– autarchia nella gestione dei farmaci a partire dalla definizione della equivalenza terapeutica tra farmaci diversi, nella definizione di sistemi di distribuzione diretti dei farmaci per la cura dei pazienti soggetti a controlli ricorrenti per i pazienti in assistenza domiciliare, residenziale e semi residenziale, ai pazienti nel periodo immediatamente successivo al ricovero ospedaliero o alla visita specialistica ambulatoriale ecc.
– autarchia sul patrimonio edilizio e tecnologico del SSN in un quadro pluriennale certo e adeguato di risorse.
– autarchia legislativa, amministrativa e organizzativa in materia di istituzione e gestione di fondi sanitari integrativi
Tutto ruota intorno ai soldi e tutto riguarda i centri di costo più pesanti: costo del lavoro, tariffe, farmaci, patrimonio edilizio, fino ad arrivare ai fondi sanitari integrativi.
Come fa il ministro Grillo a non capire che il laissez faire rispetto ai fondi integrativi significa permettere alle regioni di decidere di sostituire il sistema sanitario pubblico con un sistema multi-pilastro.
Ma si rende conto o no dell’enormità di questa cosa? Si rende conto o no che lei sta autorizzando come ministro della salute la cancellazione di 40 anni di riforme fatte dal parlamento. Cioè di cancellare una civiltà?
L’inganno finanziario: qualcuno dovrà pagare
Fino ad ora ci hanno fatto credere, soprattutto le interviste del ministro Stefani, che il regionalismo differenziato fosse a costo zero e che il sud non avrebbe nulla da temere. Questa non è una semplice fake news ma un autentico inganno. Fare il regionalismo differenziato a costo zero e nello stesso tempo garantire le regioni più deboli è impossibile. Esso implica per forza una redistribuzione di risorse per coprire i maggiori costi che deriverebbero dalle maggiori competenze. I soldi che servono come dicono gli accordi devono venire in prima istanza da dentro le regioni e in seconda istanza dai criteri di riparto nazionali. Resta il fatto che per fare di più servono più soldi non di meno.
Da questa redistribuzione il sud ha tutto da perdere anche perché la questione delle questioni che è il ripensamento dei criteri di riparto non viene affrontata. Nessuno, a partire dal ministro Grillo, parla di riformare il criterio della quota capitaria ponderata.
Negli accordi preliminari con Emilia-Romagna, Lombardia e Veneto è prevista una metodologia finanziaria molto precisa che a beneficio del ministro che non studia, è il caso di ricordare essa parla di risorse finanziarie, umane e strumentali necessarie per l’esercizio delle ulteriori forme e condizioni particolari di autonomia (art. 4).
Ecco i punti principali:
– le risorse finanziarie saranno determinate in termini di compartecipazione o riserva di aliquota al gettito di uno o più tributi erariali maturati nel territorio regionale;
– le risorse dovranno essere quantificate in modo da consentire alla regione di finanziare integralmente le funzioni pubbliche attribuite (ai sensi dell’art.119, quarto comma, Cost.);
– in una prima fase occorrerà prendere a parametro la spesa storica sostenuta dallo Stato nella regione riferita alle funzioni trasferite o assegnate;
– tale criterio dovrà tuttavia essere oggetto di progressivo superamento (che dovrà essere completato entro il quinto anno) a beneficio dei fabbisogni standard, da definire entro 1 anno dall’approvazione dell’Intesa36.
– I fabbisogni standard sono misurati in relazione alla popolazione residente e al gettito dei tributi maturati nel territorio regionale in rapporto ai rispettivi valori nazionali, rimanendo inalterati gli attuali livelli di erogazione dei servizi.
Conclusione
Avere un ministro che non fa il ministro cioè che non è capace di fare le cose giuste che bisognerebbe fare quando necessario, è sempre stato uno dei più grandi problemi della sanità. Ma avere un ministro che a priori rinuncia a svolgere la sua funzione di fatto mette in pericolo i valori che egli ha il dovere di rappresentare e difendere, diventando in questo modo un problema per il governo, per la sanità per il nostro paese.
Sul regionalismo differenziato serve una mediazione intelligente ma serve anche qualcuno in grado di proporla. Il governo quindi il presidente del consiglio dei ministri Conte, prenda in mano la questione perché se essa ci sfugge di mano sono dolori per tutti.
A questo proposito vorrei dire al presidente Conte che la sanità non aspetta altro che di essere coinvolta in una decisione politica, rispetto alla quale essa le garantisco saprà assicurare tutta la necessaria collaborazione con senso di responsabilità e soprattutto con la dovuta competenza.
Che la sanità pubblica muoia per incompetenza è del tutto inaccettabile”.
* Fonte: Quotidiano Sanità
* Ivan Cavicchi è docente all’Università di Tor Vergata, Roma
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