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“Unire il popolo, non la sinistra”. La sfida di Potere al Popolo, adesso

Intervista a Lorenzo Trapani. Venerdi 22 marzo a Bologna ci sarà una assemblea “politica” di Potere al Popolo sulle prospettive di questa esperienza dentro uno scenario in rapido mutamento. Ci siamo fatti spiegare le coordinate di questa iniziativa da Lorenzo Trapani, membro del Coordinamento Nazionale per l’Emilia Romagna.

“Quali prospettive per Potere al Popolo?” è questo il tema della convocazione dell’assemblea del 22 a Bologna. Da quale esigenza nasce questa assemblea?

Questa assemblea nasce dalla necessità di fermarci un poco a capire cosa sta succedendo intorno a noi ad un anno dalla nascita politica di Potere al Popolo, che si data effettivamente la sera del 4 marzo, quando abbiamo reso chiaro che avevamo davvero intenzione di fare tutto il contrario e che non ci saremmo smobilitati alla chiusura delle urne. Da allora sono successe tantissime cose: il governo del “cambiamento” si è mostrato palesemente succube di Bruxelles ed è colmo di contraddizioni interne e sociali; la coppia Landini-Zingaretti prova a ricostruire il centro sinistra sulla linea “buoni sentimenti, TAV e austerità”; Macron e Merkel, che ad Aquisgrana hanno superato di fatto i Trattati europei, dando forma e accentuando la sostanza di un nuovo impero carolingio che può solo devastare le sue regioni-colonie interne e potremmo continuare parecchio, anche fuori dai confini del nostro continente. Insomma, siamo su un terreno di gioco nuovo e dobbiamo disegnare per bene la mappa da cui deve prendere inizio ogni nostra mossa, sia di resistenza o d’attacco.

Siamo consapevoli che di cose da fare ogni giorno, di posizioni da prendere, ce ne sono tantissime. Ma il mondo da analizzare e di cui discutere, quello che è il contesto che fa da sfondo alla nostra azione, invece è uno solo, unico, che ci piaccia o no. E ogni piccolo passo viene calibrato e indirizzato per l’appunto da ciò che abbiamo deciso insieme essere il mondo in cui viviamo. Invertire l’ordine degli addendi, in politica, può risultare fatale. Non è questione di lana caprina. Non si “fa” prima di “capire”, perché ti mancherà la bussola e la tua azione risulterà essere il prodotto di forze più grandi e incisive della tua. L’abbiamo visto negli ultimi mesi, varie volte, quanto una sola bandiera del Partito Democratico in un corteo con 100 bandiere di Potere al Popolo potrebbe spostare irrimediabilmente l’ago a favore dei massacratori sociali, di fatto eliminandoci dal piano generale.

La necessità quindi di ragionare sulle prospettive, sulla strategia, sul lungo periodo (o almeno il medio… insomma, ci siamo intesi) è un punto fermo. Soprattutto ora che siamo fuori dalla corsa elettorale per le europee… E attenzione, però: non avere propri candidati a queste elezioni non significa non poter prendere parola, non avere un posizionamento, non fare “campagna politica”. Noi a Bologna l’abbiamo detto e ripetuto incessantemente durante la scorsa campagna elettorale. Campagna elettorale e campagna politica: sono due cose diverse. Una è un passaggio (il più delle volte) tattico, l’altra è tutta strategia. Mai come adesso abbiamo bisogno di quest’ultima.


A chi intende parlare questa assemblea? L’interlocuzione di Potere al Popolo ci sembra di capire che non sia solo quella con “il popolo della sinistra”…

Abbiamo detto: fare tutto al contrario. Quel 1,1% del 4 marzo 2018 non era per noi un rimasuglio di disillusi di sinistra, orfani di rappresentanza effettiva; piuttosto, erano centinaia di migliaia di persone che si erano (ri)attivate, chi più chi meno nella pratica ma tutti nello spirito, per produrre uno scarto necessario e reale per il nostro futuro. Una rottura con l’esistente, a tutti i livelli e su tutti i piani. Il programma e le nostre pratiche già dicevano molto.

Non abbiamo mai fatto molti giri di parole, siamo andati dritti al punto. Per noi arrivare alla fine del mese si lega con la lotta per non arrivare alla fine del mondo. Per noi le nazionalizzazioni di imprese strategiche, servizi alla persona e fabbriche che chiudono, sono centrali nel produrre futuro per questo paese. E per fare questo bisogna avere il coraggio di rompere con i Trattati dell’Unione Europea, di ipotizzare un Piano B.  Non siamo né i primi né gli unici che lo dicono in Europa, perché ognuno fa i conti con il proprio oste e i popoli europei se la devono vedere con i mastini di Bruxelles e Francoforte. La periferia sfruttata che si ribella contro il proprio centro, socialmente, politicamente e geograficamente. Ovviamente bisogna essere coerenti e politicamente preparati, perché se no poi si finisce come Tsipras, a dirci che “è meglio cedere subito [all’UE], se no poi è peggio”.

Crediamo e abbiamo sempre creduto che per perseguire questi obiettivi, che sono già presenti e ben radicati nel nostro blocco sociale (e noi ci chiamiamo Potere al Popolo, non “al Popolo della sinistra tradita”…), bisogna cominciare rinunciando all’illusione di rimettere insieme i cocci di una partitocrazia residuale, troppo spesso culturalmente succube dei nostri nemici. Una sinistra che, fra l’altro e addirittura in modo “coerente”, si è messa subito in ascolto delle sirene della “ditta” Landini-Zingaretti.

Questa assemblea vuole andare a nuotare fuori dall’acquario della “sinistra”, tra quei milioni di uomini e donne che ogni giorno si alzano e lavorano (o il lavoro lo cercano!) e che scappano lontano quando sentono odore di politicismo. Milioni che alle ultime elezioni o sono stati a casa o si sono affidati disperati a coloro che gridavano (gridavano e basta, ovviamente..) che avrebbero tenuto per le corna il mostro UE. Più chiaro di così… La nostra gente già sa molto più di quello che i politicanti “democratici” o ignorano (se sono troppo distratti o sbadati) o sanno benissimo (se sono complici di quelle misure).

Siamo alla vigilia delle elezioni europee, ci sono elezioni locali in molte città, c’è una agenda di questioni politiche rilevanti (dal reddito all’emergenza ambientale) che richiedono una presenza politica di Potere al Popolo. Su quali obiettivi intendete agire nei prossimi mesi?

Le cose da fare sono tante, ovvio. Dovremo dare spazio ai nostri punti politici strutturali (il prossimo 4 aprile bisognerà “festeggiare” i 70 anni della NATO per esempio) e impostare campagne politiche che siano d’informazione, come quella sull’autonomia differenziata delle regioni del Nord, o di lotta, come quella sull’ambiente o sul reddito. Bisogna costruire organizzazione, e questo è un lavoro lento… ma fattibile e necessario. Con coerenza e poca fretta.

Dovremo però metterci in testa un fatto: al popolo, alla nostra gente, al nostro blocco sociale, non gli devi promettere nulla e hai poco da spiegare. Bisogna trovare la chiave per connetterci con le nostre masse, andando oltre il piano valoriale e puntando sulle necessità materiali: bisognerà mettere in evidenza lo sfruttamento, vincendo la disillusione e la paura generale che opprime i più, così come i falsi schemi e le false promesse fasciste e democratiche che siano. Nessuna promessa, solo rivendicazioni di quel che è giusto, per trasformare la rabbia non in guerra tra poveri ma in lotta di classe, si può dire è troppo retrò? Un programma di rivendicazioni politiche e sociali è quel che ci vuole: non dobbiamo presentarci con un “vorremmo fare/facciamo”, ma con un “pretendiamo (se no..)”. Organizzarsi, lottare, votare… per metterci al livello di chi ci sfrutta.

Si possono fare esempi. In Italia, il 5% più ricco degli italiani è titolare da solo della stessa quota di patrimonio posseduta dal 90% più povero, mentre il 60% più povero ha appena il 12,4% della ricchezza nazionale. La gente lo sa, lo avverte, dato più dato meno. E chi è il principale soggetto agente in questo processo? L’Unione Europea. Le periferie, paradossalmente, lo sanno. Le periferie sanno riconoscere chi li vuole uccidere e chi invece è carne della stessa carne; bisognerà mostrargli chi li distrae per farli sfruttare meglio – di qualsiasi schieramento siano.

Gli sfruttati si sanno riconoscere tra loro. In questo guardarsi nel proprio vicino la reazione non è univoca: possono avere paura o possono darsi forza a vicenda. Noi scegliamo la forza. A noi questa sfida.

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