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Crisi nel M5S. Domani referendum su Di Maio

La “scoppola” alle elezioni europee si fa sentire, eccome, dentro il M5S. Di Maio ha chiesto un pronunciamento della piattaforma Rosseau sulla propria leadership ed ha convocato un nuovo vertice ristretto ai fedelissimi (i capigruppo di Camera e Senato D’Uva e Patuanelli, i ministri Fraccaro e Bonafede), alla vigilia dell’assemblea dei gruppi parlamentari che è stata fissata per oggi.

In rete e a voce circolano da domenica sera i rumors sulle possibili dimissioni di Di Maio da leader del Movimento, ma adesso c’è la decisione di una sorta di referendum su di lui. Gli iscritti alla piattaforma voteranno già domani, dalle 10 alle 20, su una domanda una volta tanto chiarissima: confermi Luigi Di Maio come capo politico del movimento 5 stelle?

A mettere in discussione la leadership politica di Di Maio, fin qui confermata dalle varie anime del M5S (Grillo, Casaleggio, Di Battista e Fico), è stata la richiesta di discontinuità venuta da molti esponenti di punta del movimento, tra questi Roberta Lombardi, Carla Ruocco e Luigi Gallo, sempre molto critici verso lo schema del “un uomo solo al comando”.

Intanto, qui e lì, si annunciano dimissioni. Quelle di Primo Di Nicola da vice capogruppo al Senato, che lo stesso Di Nicola motiva come legate a “un’assunzione di responsabilità per la sconfitta di tutti”. E poi c’è il senatore Gianluigi Paragone, che ha annunciato di voler consegnare le sue dimissioni da parlamentare a Di Maio, poi “deciderà lui cosa fare”. Ma qui le parole diventano più esplicite: “La generosità di Di Maio di mettere insieme 3-4 incarichi va rivista. Per ripartire il M5S ha bisogno di una leadership politica non dico h24, ma quasi”.

Si parla di una segreteria di 10 persone, mentre il presidente della Commissione Antimafia, Nicola Morra, propone cinque o più “cavalieri della tavola quadrata”, ma scelti insieme da tutti gli attivisti passando attraverso il voto sulla piattaforma Rousseau. Di Maio promette collegialità, ma come si è visto non è bastato e domani si va al referendum sul “capo”.

Il nodo irrisolto, e che pesa come un macigno, sta diventando anche questo, potremmo dire che è un nodo “ideologico”. Aver costruito un movimento di massa che è riuscito anche ad andare al governo (prima di alcune città, poi di quello nazionale), ha messo in crisi una modellistica che funziona solo se si ha una funzione oppositiva. “Uno vale uno”, “decide la piattaforma”, una organizzazione fortemente liquida alla base, si sono scontrate con la materialità dei fatti, le responsabilità del far politica e soprattutto con quelle di governo (due ambiti in cui l’esigenza dell’efficienza decisionale fa a cazzotti con la pretesa “democraticità delle procedure”). E le hanno fatte a pezzi.

In secondo luogo la composizione e l’interlocuzione sociale del M5S (piccola borghesia devastata nelle proprie aspettative, disattese dal “sistema”) hanno verificato con mano che onestà, trasparenza, buona volontà non bastano a fare la differenza, né il “cambiamento”. Una volta a contatto con gli interessi materiali del mondo reale (vedi al Comune di Roma), o si ha la forza di un progetto politico o ci si rivela vulnerabili a tutti i colpi.

Infine, la discussione e le sorti del M5S si intrecciano con il destino incerto del Governo, che a giorni, dopo il caso Siri, potrebbe inciampare anche sul “caso Rixi”. 

Il viceministro leghista alle Infrastrutture è accusato di peculato per le “spese pazze” del Consiglio regionale della Liguria tra il 2010 e il 2012. Sul suo caso è atteso per giovedi il giudizio del tribunale di Genova. In caso di condanna, i Cinque Stelle ne pretendono l’esclusione dal Governo. “C’è un contratto di governo e quello si rispetta”, tuona da lontano Alessandro Di Battista.

Salvini, forte del risultato elettorale alle europee ha già fatto sapere che “La Lega ha deciso. In ogni caso Rixi resterà al suo posto”; dunque una ipotesi fin qui irricevibile per il M5S, tanto più dopo le dimissioni imposte al sottosgretario Armando Siri.

Tra Lega e M5S ci sono però anche segnali distensivi. La Lega ha accettato di trasformare l’emendamento per proseguire la Tav, dentro al Decreto sblocca-cantieri, in un ordine del giorno. In cambio chiede il via libera al Decreto Sicurezza bis (peggiore e più autoritario del primo) e all’autonomia differenziata nelle regioni.

Il governo gialloverde – con un socio in aperta crisi e l’altro apparentemente trionfante – sembra avere i giorni contati.

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1 Commento


  • Paolo De Marco

    La mossa del vice-ministro Di Maio ci dice una cosa importante che non sarà assolutamente sottoposta a referendum sulla piattaforma (privata) Rousseau, cioè intende mantenere il governo Salvini in piede pur accelerando l’emorragia dei pentastellati. Viaggio di ritorno al heimat nativo oppure al limite delle notte, fa tutt’uno.

    Immaginarsi nel contesto dell’austerità e dei tagli – siamo oramai all’osso in Italia – che seguiranno la lettera della Commissione europea, un Mezzogiorno vittima della a-costituzionale autonomia differenziata e competitiva, dell’aumento dell’IVA e della Flat tax, ecc, ecc …

    Per i membri del M5S non dovrebbe trattarsi di una questione di persona ma di linea politica strategica, cioè in chiaro : staccare o non la spina al governo Salvini?

    Paolo De Marco.

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