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Crisi di governo? Quale governo?

E finalmente arrivò la crisi… Il governo gialloverde è al capolinea, si tratta solo di attendere la manovra per parcheggiare, che potrebbe anche prendersi tutto il mese di agosto.

Come facciamo sempre, prescindiamo volentieri da dichiarazioni e sondaggi. Perché prendere sul serio le parole di un qualsiasi politicante della Terza Repubblica sarebbe da scemi (tutto il sistema mediatico mainstream fa solo questo), e anche i sondaggi mantengono in genere meno di quanto promettono.

Vediamo dunque i fatti.

I tre governi in uno non riescono più a marciare insieme. Uniti non sono mai stati, ma adesso le strade da percorrere sono decisamente diverse. Tanto che non sono più tre, ma due virgola qualcosa, con i Cinque Stelle ricondotti all’ovile e non più “antisistema”.

Il passaggio determinante, non per caso, è avvenuto nel rapporto con l’Unione Europea. La formazione del nuovo “governo” continentale sta avvenendo con frenetiche manovre diplomatiche tra stati nazionali e “famiglie politiche”, ma senza più il baricentro fisso formato dall’asse franco-tedesco e dalla grosse koalition popolari-socialdemocratici.

Il primo, nonostante il Trattato di Aquisgrana, si è parzialmente sfasciato con la bocciatura di Timmermans e la candidatura della tedesca Ursula Von der Leyen, voluta paradossalmente da Macron e non dalla Merkel. Il che ha consentito la scelta della francese Lagarde per la presidenza della Bce, dove invece la Germania avrebbe preferito il superfalco dell’austerità, Jens Weidmann.

Il Parlamento di Strasburgo ha approvato la nomina per il rotto della cuffia (9 voti) e solo grazie al concorso di 24 ultrazionalisti polacchi e 16 grillini italici. Nonostante il Parlamento europeo sia un guscio vuoto di potere (può solo approvare o rigettare le proposte della Commissione), il passaggio delle nomine ai vertici della UE è l’unico momento in cui conta qualcosa.

Per raggiungere questo misero risultato – la nomina di una presidente di Commissione “di riserva”, debole in patria e ancor più nella UE – sono andate in crisi tutte le “famiglie politiche” continentali. I Verdi non sono stati accettati nella “maggioranza” (le frasette “ambientaliste” della Von der Leyen non potevano certo sostituire un chiaro accordo programmatico su quei temi), i socialdemocratici si sono divisi (dopo la bocciatura di Timmermans), i popolari anche. E quindi sono serviti i voti degli ultrazionalisti polacchi e ungheresi (Orbàn è ufficialmente nel Partito Popolare Europeo), teoricamente alleati della Lega sulla questione dell’immigrazione, oltre a quelli dei Cinque Stelle.

I quali, con questa scelta, hanno completato la “democristianizzazione” voluta dal duo Di Maio-Casaleggio junior. I “tre governi” sono perciò diventati due e un pezzetto, peraltro in via di rapido rientro nell’alveo delle formazioni “europeiste” (stanno confluendo nel gruppo dei “liberali” capeggiato dal movimento di Macron, dopo aver goffamente cercato un’interlocuzione con dei sedicenti Gilet Gialli…).

Come giustamente lamenta il povero premier Giuseppe Conte, se vuoi avere un “commissario economico di peso”, dopo aver perso tutte le poltrone più importanti (Davide Sassoli, nuovo presidente del Parlamento al posto di Tajani, è comunque del Pd), dovevi per forza votare la Von der Leyen.

Non sappiamo se la Lega abbia davvero prima detto “ok” e poi abbia fatto il contrario (è credibile, diciamo, visto quel che fa da anni…), ma il risultato è comunque un disastro per il governo italiano. Sconfessato davanti ai partner continentali e fratturato all’interno.

Non siamo complottisti o dietrologi, ma la coincidenza temporale con l’esplosione del RussiaGate ha comunque di fatto smontato qualsiasi possibilità per Salvini di far coincidere conquista di un Commissario europeo (Giancarlo Giorgetti), crisi di governo e nuove elezioni con il vento in poppa.

I passaggi concreti stanno lì a dimostrarlo. Giorgetti è già salito al Quirinale, ieri sera, per comunicare a Mattarella il suo ritiro come candidato (prassi inconsueta, ma nello scasso istituzionale ormai dilagante nessuno sembra farci più caso, a partire dallo stesso Mattarella). I Cinque Stelle e il “governo europeista” (Conte, Tria, Moavero Milanesi, Trenta) sono ormai indistinguibili. E Salvini deve rinviare l’apertura ufficiale della crisi di governo, dopo aver annunciato anche la sua “salita al Quirinale”, perché non ha alcuna certezza di poter andare subito ad elezioni e capitalizzare il patrimonio assegnatogli dai sondaggi.

Quel che resta della prassi costituzionale di gestione delle crisi di governo, infatti, assegna al Presidente della Repubblica il compito di condurre consultazioni tra i partiti, verificare la possibilità di maggioranza alternative e tener d’occhio il calendario degli impegni europei (c’è da presentare una “legge di stabilità” entro il 31 dicembre, concordata punto per punto con la nuova Commissione).

Lasciate perdere le dichiarazioni baldanzose di tutti i gruppi parlamentari, secondo cui “dopo questo governo ci sono solo le elezioni”. Sappiamo tutti benissimo, dopo almeno tre decenni di esperienza, che l’ombra del “governo tecnico” si allunga sul paese proprio in situazioni del genere. E ricordiamo bene come – appena tredici mesi fa – Mattarella avesse già conferito l’incarico a Carlo “mani di forbice” Cottarelli, visto che Lega e M5S facevano fatica a concordare un programma comune.

Niente, dunque, impedisce di riproporre quello schema, ovviamente temporaneo (da qui alla primavera).

Rispetto a tredici mesi fa, però, c’è addirittura qualche ragione in più, che torna conveniente per tutte le formazioni politiche tranne la Lega.

La straordinaria crescita di consensi intorno alle cazzate fasciorazziste dei leghisti è esplosa soprattutto nell’ultimo anno. Il passaggio dal 17% del 4 marzo al 34% delle elezioni europee è dipeso moltissimo dall’uso fatto del ministero dell’interno, trasformato in macchina operativa e di propaganda al servizio esclusivo di Matteo Salvini. Con la consueta complicità ebete del sistema mediatico mainstream (soprattutto da quello che dice d’essere “d’opposizione democratica”). Mesi passati da un allarme all’altro (“attentato, mi vogliono ammazzare!“), da un “nemico” inventato all’altro, da uno sgombero criminale all’altro…

Una decina di mesi di “governo tecnico”, con un ministro dell’interno diverso, spunterebbero drasticamente le ali al “fenomeno”. Anche se il RussiaGate dovesse svilupparsi lungo sentieri meno pericolosi per il “capitano”.

Ma c’è da dubitarne, vedendo i “mi appello alla facoltà di non rispondere” dei primi indagati sull’incontro del Metropol. Per chi ha una qualche esperienza di inchieste giudiziarie reali (per come avvengono, non per quello che c’è scritto sul codice di procedura penale), una cosa è abbastanza chiara: quella “linea difensiva” regge finché un qualsiasi spillo non buca il palloncino dell’omertà. Poi, a seconda di come esplode, ognun per sé…

A ben pensarci è lo stesso problema presentato dalla “linea propagandistica” di Salvini su questo punto (“tutte balle”, “non rispondo a fantasie”, ecc). Non può rispondere a nulla perché, se accetta di affrontare anche solo una contestazione precisa, entra nel gorgo e non ne esce più…

Un semplice cane avvertirebbe l’odore dell’adrenalina provenire dall'”altro Matteo”. Ma l’adrenalina in eccesso viene prodotta in due casi: quando stai per attaccare o quando sei preso dalla paura. Un cane, insomma, rimane in dubbio. A noi, umani medi, sembra più paura che altro, adesso…

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