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Berlusconi “impigliato” nei processi per le stragi di mafia

Si è scoperto che Silvio Berlusconi è indagato nel procedimento aperto dalla procura di Firenze sulle stragi mafiose del 1993. La notizia però non arriva da Firenze, sede dell’indagine, ma da Palermo.

La questione, spinosa, spinosissima ma con una certa pertinenza, è venuta a galla perché i legali di Beslusconi, hanno depositato alla corte d’assise d’appello di Palermo, sede competente per il processo sulla “trattativa Stato-mafia”, la certificazione da cui risulta che Berlusconi è indagato a Firenze nel processo sulle stragi mafiose del 1993.

Gli avvocati Coppi e Ghedini che assistono l’ex premier, dopo la citazione a deporre del loro assistito come testimone da parte dei difensori di Dell’Utri nel processo sulla trattativa Stato mafia, avevano chiesto alla corte d’assise d’appello di Palermo di definire in quale veste giuridica Berlusconi sarebbe stato sentito: se come testimone o come indagato di reato connesso, uno status questo che gli consentirebbe di avvalersi della facoltà di non rispondere. Il nodo è stato sciolto dagli stessi avvocati dell’ex premier che si sono informati con i magistrati di Firenze.

Berlusconi è stato citato dalla difesa di uno degli imputati, l’ex senatore azzurro Marcello dell’Utri, condannato in primo grado a 12 anni per minaccia a corpo politico dello Stato. Nelle motivazioni della sentenza di condanna, i giudici palermitani è scritto che “Il fatto che Berlusconi pagasse Cosa nostra, come detto, era noto ma fino ad oggi ritenuto provato solo fino al 1992, cioè prima dell’inizio delle stragi e a due anni dall’impegno politico dell’imprenditore. “È determinante rilevare che tali pagamenti sono proseguiti almeno fino al dicembre 1994 quando a Di Natale (un mafioso poi pentito, ndr) fu fatto annotare il relativo versamento di L. 250.000.000 nel libro mastro che in quel momento egli gestiva, perché ciò dimostra inconfutabilmente che ancora sino alla predetta data (dicembre 1994), Dell‘Utri, che faceva da intermediario, riferiva a Berlusconi riguardo ai rapporti con i mafiosi, attenendone le necessarie somme di denaro e l’autorizzazione a versare e a Cosa nostra”. In un altro passo delle motivazioni della sentenza è scritto che: “Si ha definitiva conferma, pertanto, che anche il destinatario finale della pressione o dei tentativi di pressione, e cioè Berlusconi, nel momento in cui ricopriva la carica di Presidente del Consiglio dei Ministri, venne a conoscenza della minaccia in essi insita e del conseguente pericolo di reazioni stragiste (d’altronde in precedenza espressamente già prospettato) che un’inattività nel senso delle richieste dei mafiosi avrebbe potuto fare insorgere”.

In sostanza i magistrati palermitani sostengono due cose: Berlusconi avrebbe pagato le cosche mafiose fino al 1992, ma che le avrebbe dovute pagare anche nel periodo successivo, 1994, quando era riuscito a diventare per la prima volta Presidente del Consiglio perché sotto il ricatto di nuove stragi simili a quelle del 1993.

Indubbiamente i mesi che vanno dal 1992 al 1994 e che segnano la fine della Prima Repubblica, rappresentano un buco nero che andrebbe riempito di fatti e non di dietrologie. Sono gli anni in cui con l’inchiesta di Tangentopoli venne giù il cielo sulla testa dei partiti politici tradizionali (Dc, Psi, Psdi, Pli etc.), venne soppresso il sistema elettorale proporzionale e introdotto il maggioritario, iniziò la stagione “lacrime e sangue” sul piano economico/sociale a seguito del Trattato di Maastricht e furono gli anni degli attentati mafiosi più violenti e clamorosi: Falcone e Borsellino nel 1992 e le bombe a Roma, Firenze e Milano nel 1993.

In Sicilia si preparava il cambio della guardia sul piano dei garanti politici alla mafia: non più una Democrazia Cristiana ormai in via di dissoluzione, ma prima il tentativo delle Leghe meridionali e poi, quello più strutturato, di Forza Italia con Berlusconi, di cui la Sicilia fu uno snodo e un punto di forza.

Un dato tra i molti, che sarebbe utile ritirare fuori, fu il “Progetto Federico II” avanzato da Forza Italia di fare della Sicilia una “zona franca” per l’attrazione di capitali e investimenti.

Con il tempo se ne sono perse le tracce, ma era esattamente quello a cui mirava la nuova mafia del business legale e dei colletti bianchi che stava soppiantando la vecchia e brutale mafia dei corleonesi. Una mafia che aveva sì sfidato lo Stato con gli attentati ma con una parte della quale lo Stato intavolò una trattativa per trovare un equilibrio che soddisfacesse tutti: sia gli uomini attenti solo ai “piccioli” e al business sia gli uomini politici e dello Stato che stavano edificando la Seconda Repubblica sulle macerie della Prima e intendevano mettere fine alla stagione degli attentati mafiosi.

La riapertura delle indagini su Berlusconi risale a due anni fa, nell’ambito del procedimento sulle stragi mafiose del 1993 per le quali l’ex premier era già stato indagato a Firenze e archiviato per due volte. La riapertura era stata disposta in seguito alla trasmissione, da Palermo a Firenze, delle intercettazioni in carcere del boss mafioso Giuseppe Graviano disposte dalla procura siciliana. Allora si era parlato di un “atto dovuto” per permettere degli accertamenti che, a due anni di distanza, ancora non si sono conclusi.

 

 

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