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Parlateci di Frosinone

Gloria Pompili, giovane madre 23 enne di due figli di 3 e 5 anni era costretta a prostituirsi in casa mentre i figli venivano appesi ad una cesta in balcone. Questo è solo uno dei dettagli inquietanti raccolti nella motivazione della sentenza con cui i giudici della Corte di Assise di Latina, l’11 ottobre del 2019,  avevano condannato a 24 anni di reclusione Loide Del Prete e il compagno di lei Saad Mohamed Elesh Salem. I due non solo uccisero a  botte Gloria Pompili, ma per oltre un anno la sottoposero a maltrattamenti di una crudeltà inaudita, picchiandola e costringendola a prostituirsi. 

Nelle motivazioni rese note qualche giorno fa, i giudici hanno evidenziato anche la “superficialità” dei servizi sociali i quali erano stati avvertiti più volte della situazione. Una vicina di casa aveva addirittura denunciato che i bambini di tre e cinque anni venivano appesi a una cesta in balcone quando la madre veniva fatta prostituire in casa ma la risposta dell’assistente sociale in quel caso era stata: “Fai una foto e portala qua”.  

Sempre nelle motivazioni della sentenza di condanna, i giudici riportano la testimonianza di un’assistente sociale di Frosinone: “ Una sua collega le aveva detto di aver visto Gloria Pompili prostituirsi presso l’asse attrezzato, anche se poi  avevano deciso di non intervenire, limitandosi di chiedere alla Pompili se fosse vero (naturalmente la Pompili le disse di no)”.

Gloria Pompili  aveva avuto una vita difficile ed era un giovane madre sola.  Abbandonata dal padre a 6 anni era cresciuta in una casa-famiglia ove scoprirono che aveva un lieve ritardo mentale. Proprio su quella fragilità avevano fatto leva la zia e il compagno i quali prima le offrirono aiuto e poi la costrinsero a prostituirsi minacciando i suoi bambini.

Il 23 agosto del 2017 Gloria si  ribellò ai suoi carnefici  rifiutando di prostituirsi ancora.  La sera, al rientro a casa, lungo la strada Monti Lepini, Gloria venne uccisa a colpi di bastone, calci e pugni. Il feroce femminicidio avvenne sotto gli occhi dei figli.

Una storia di orrore inaudito maturata in un contesto sostanzialmente indifferente in cui la stessa vittima interpellata sull’eventualità che stesse subendo violenze negò come fosse totalmente rassegnata. Una rassegnazione ed un fatalismo che molto, troppo spesso, sono la cifra principale di una certa Italia profonda.

Vicende come questa e come quelle altrettanto orribili di Bibbiano e di Arce,  ancora a due passi da Frosinone, dove venne uccisa, il 1° giugno del 2001, in una caserma dei carabinieri, la diciottenne Serena Mollicone (a distanza di 18 anni dal delitto non sono stati ancora condannati i responsabili) ci parlano di una provincia italiana oscura e inquietante in cui non c’è più società ma solo spesse mura che dividono vissuti privati assolutamente impermeabili ad ogni richiesta di aiuto o, perlomeno,  di comprensione.

Contesti in cui regnano l’omertà, l’ipocrisia moralista e bigotta ed il peggior familismo amorale di una vecchia borghesia, ottusa, corrotta e parassitaria. Contesti in cui anonime periferie sono abbandonate a sé stesse da decenni – nello squallore e nel degrado – abitate da una plebe impoverita ed inferocita che lotta ogni giorno per la pura sopravvivenza. 

Tanti anni fa sono stato in visita a Dachau, una piccola città a ridosso di Monaco di Baviera. Dachau servì da modello a tutti i campi di concentramento di lavoro forzato e di sterminio nazisti eretti successivamente e fu la scuola d’omicidio delle SS che esportarono negli altri lager lo spirito di Dachau: il terrore senza pietà. A partire dal 1933, in quel  campo transitarono circa 200.000 persone e, secondo i dati del Museo di Dachau, 41.500 vi persero la vita. 

Ciò che mi fece maggiormente impressione fu il fatto che alcune case di Dachau praticamente si affacciavano sul campo e che, nonostante ciò,  quell’orrore andò avanti ininterrottamente per quasi 12 anni sotto gli occhi indifferenti di un intera comunità di 40.000 abitanti ed a soli 20 km da Monaco di Baviera. 

” E voi, imparate che occorre vedere – e non guardare in aria; occorre agire e non parlare. Questo mostro stava, una volta, per governare il mondo! I popoli lo spensero, ma ora non cantiam vittoria troppo presto – il grembo da cui nacque è ancora fecondo.” 

 Così scriveva Bertolt Brecht ne “La resistibile ascesa di Arturo Ui“, nel 1941.  E’ un monito che dovremmo sempre aver presente.  È necessario ribellarci ai prepotenti, alle guerre ed alle violenze perpetrate contro gli innocenti, i deboli e gli ultimi. E se non lo faremo, staremo già preparando il terreno ad altri inimmaginabili, terribili orrori, come quelli che hanno attraversato l’Europa nel corso del ventesimo secolo.

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