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La Consulta stronca il “porcellum bis” leghista

E’ confortante verificare che, per quanto possa essere drammatica la situazione internazionale, la politica italiano non smette di essere ridicola.

L’ultima conferma arriva con il parere della Corte Costituzionale a proposito del quesito referendario proposto dalla Lega attraverso la richiesta presentata da otto consigli regionali di centrodestra.

Sostanzialmente la Consulta, ora presieduta da Marta Cartabia, ha spiegato che chi ha scritto quel quesito è un asino che non conosce la Costituzione di questo paese; ma probabilmente non gliene importa affatto di conoscerla, se non per demolirla.

Prima di tutto vediamo il merito: il quesito su cui si sarebbero dovuti pronunciare gli elettori con un referendum è stato bocciato «per l’assorbente ragione dell’eccessiva manipolatività del quesito nella parte che riguarda la delega al governo, ovvero proprio nella parte che, secondo le intenzioni dei promotori, avrebbe consentito l’autoapplicatività della ‘normativa di risulta’».

In pratica, il “redattore” voleva prendere molti piccioni con una mezza fava secca. Da un lato pretendeva di cancellare la parte proporzionale dell’attuale – orrenda – legge elettorale, trasformandola così in una legge totalmente maggioritaria. Dall’altra – visto che la legge così modificata non sarebbe stata applicabile in caso di elezioni anticipate, essendo ormai entrata in vigore la riforma costituzionale chiamata “taglio dei parlamentari” – pretendeva anche di ridisegnare i collegi elettorali (se si devono eleggere 600 parlamentari, invece di 945, il territorio nazionale va ridiviso ex novo).

Ma ridisegnare i collegi è una prerogativa a metà tra Parlamento e governo ed è già stato presentato un disegno “legge delega” per realizzare l’obiettivo (tecnicamente anche complesso, vista la quantità di parametri di cui tener conto, a partire dalla quantità minima di elettori che ogni collegio deve contenere, fatti salvi i diritti delle minoranze linguistiche).

Pretendere di fare tutto questo con una sola domanda secca, proposta ad elettori che ovviamente avrebbero risposto sì o no in base a una considerazione solo politica e contingente, era effettivamente un po’ troppo anticostituzionale.

Una vera porcata. E del resto l’estensore del quesito era il solito Roberto Calderoli, senatore leghista di fervida immaginazione e autore di un’altra legge elettorale – il Porcellum, appunto – anch’essa poi bocciata da una Corte Costituzionale differente dall’attuale, quanto a componenti.

L’argomento politicamente più serio portato dalla Consulta è che – se fosse stata approvata con referendum una simile “riforma della legge elettorale” – la “nuova” legge maggioritaria sarebbe stata praticamente inapplicabile (per la non corrispondenza tra collegi elettorali legali e seggi da assegnare). E questo è ovviamente inaccettabile, perché in ogni momento si deve poter andare ad elezioni politiche. Dunque serve una legge che si possa applicare immediatamente.

Finisce qui, quindi, uno dei tentativi della Lega di “capitalizzare” al più presto quei consensi che i sondaggi oggi le attribuiscono, ma che tra un anno o due potrebbero non esserci più, almeno in quella misura. E naturalmente usa questo argomento per condurre le campagne elettorali in corso (Calabria e Emilia Romagna).

Dall’altra parte, Pd e Cinque Stelle tirano un sospiro di sollievo e tirano a campare, mentre provano a disegnare una legge elettorale fintamente proporzionale. Uno sbarramento al 5%, con al massimo il riconoscimento di un “diritto di tribuna” (un parlamentare, al limite) per chi non lo supera ma ottiene comunque un livello di consensi non irrilevante, è di fatto una tagliola che punta a ridurre a solo 4-5 partiti la presenza in Parlamento.

Ridicole oltre ogni misura le argomentazioni portate a sostegno di questa idea.

A cominciare dalla governabilità. Secondo questi falsari, infatti, restringere la rappresentanza politica a pochi soggetti garantirebbe “governi stabili”. E’ lo stesso argomento usato dai sostenitori del “maggioritario secco” (la destra e i radicali, oggi, ma anche il Pd in passato). Come se negli ultimi 30 anni, con leggi elettorali pensate con lo stesso obiettivo, non ci fossero state innumerevoli crisi di governo, con “ribaltoni” che potevano nutrirsi di parlamentari pronti a cambiare casacca anche più volte nella stessa legislatura.

Insomma, si potrebbe anche fare una legge totalmente maggioritaria, che riduce a solo due alternative, ma verrebbe comunque a mancare la “stabilità del governo” in presenza di una classe politica fatta di pronti-a-tutto senza onore né spessore politico. Comprabili, insomma, anche ad un prezzo modesto…

Identico discorso si può fare per gli idioti che festeggiano la “riduzione dei parlamentari”. Che è poi una riduzione secca della rappresentatività del Parlamento (pochi parlamentari e alta soglia di sbarramento eliminano la possibilità che quote rilevanti di popolazione possano avere rappresentanti effettivamente coerenti con i propri interessi e convinzioni politiche).

Più idiota di tutti, comunque, è l’argomento per cui, in questo modo, “si riducono i costi della politica”. Se davvero si volesse raggiungere questo obbiettivo (comunque marginale: risparmiare qualche decina di milioni su una spesa complessiva che supera abbondantemente i 1.000 miliardi è un’inezia irrilevante) ci sarebbe un modo davvero semplice e totalmente rispettoso sia della Costituzione che del principio di rappresentanza democratica: tagliare drasticamente gli stipendi dei parlamentari e dei ministri.

Tra le proposte di Potere al Popolo, per esempio, c’è quella di portare quegli stipendi a 2.500 euro netti mensili… Oggi i componenti del Senato guadagnano ogni mese 14.634,89 euro netti, appena un po’ meno i deputati (13.971,35 netti). Si tratterebbe di un “risparmio” economico di oltre il 70%. E senza toccare minimamente la rappresentatività del Parlamento rispetto al pluralismo reale del Paese…

Ma che gliene frega, a questi pagliacci. A loro interessa solo menare il can per l’aia, non sapendo minimamente cosa fare per risollevare questo Paese da una china pericolosissima verso il declino economico, culturale, industriale. Del resto, ma che vogliamo pretendere da una “classe politica” che sa benissimo di non possedere più neanche gli strumenti operativi per fare scelte che siano anche solo leggermente diverse da quelle dettate dall’Unione Europea… E’ lo specchio preciso di una “classe imprenditoriale” che ai suoi massimi livelli – il presidente di Confindustria – è sempre sull’orlo del fallimento…

Abbiamo insomma “forze politiche” che giocano a scimmiottare le movenze della democrazia, indifferenti o infastidite per i “vicoli costituzionali”, ma ormai pienamente assuefatte – tutte – ai “vincoli esterni”. Economici o militari che siano.

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1 Commento


  • Michele Schiavino

    Sono per ridurre gli stipendi ai politici. Ma €2,500.00 è poco. Chi non ha altro reddito ne sarà escluso. Propongo €6,000.00 al mese per i deputati. E €7,000.00 per i senatori. Ad arrivare a €10,000.00 per il premier e €12,000.00 per il capo dello stato.

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