Bisogna avere uno stomaco forte per ascoltare i comizietti di Renzi. Mentre si avvicina l’ora del redde rationem – da lui stesso fissato al risultato referedario, ma in tutt’altro contesto – più diventa squacquaronato il suo “argomentare”, più diventano espliciti i ricatti e persino le chiamate di correo.
La sua performance alla ex festa de l’unità, a Bosco Albergati (Modena) ha battuto diversi record che sembravano inspuperabili.
L’odore della sconfitta e del fine carriera deve essere fortissimo, se il contafrottole nazionale è arrivato ad ammettere un proprio errore:
“Anche io ho sbagliato a dare dei messaggi: questo referendum non è il mio referendum, perché questa riforma ha un padre che si chiama Giorgio Napolitano. Ho fatto un errore a personalizzare troppo, bisogna dire agli italiani che non è la riforma di una persona, ma la riforma che serve all’Italia”.
Si tratta, come si vede, di un tentativo molto goffo di sciogliersi la pietra da collo, da lui stesso intrecciata. Più interessante è però l’attribuzione dell’aborto anticostituzionale chiamato “riforma” a quello che fin dall’inizio era apparso il Saruman che ha costantemente lavorato ad affossare la Costituzione nata dalla Resistenza. Una “personalizzazione diversa” che già solo per questo toglie qualsiasi credibilità alla pretesa di descrivere quell’aborto come “la riforma che serve all’Italia”, e quindi allo stesso “premier”.
Il resto è la solita paccottiglia avariata. Il referendum “non c’entra niente con la legge elettorale”, come se non fosse evidente che proprio l’Italicum è la chiave di volta che consegna a una lista assolutamente minoritaria nel paese (ben che vada, col 30% dei votanti; quasi la metà, se si tiene conto di tutti gli aventi diritto) la possibilità di controllaare tutti i poteri (il legislativo, ossia la sola Camera dei deputati, oltre al governo, alla nomina dei nuovi membri della Corte Costituzionale, allo stesso Presidente della Repubblica, alla Rai, ecc), così come previsto dalla “riforma”.
L’unica altra novità riguarda il tentativo di “comprare” il voto referendario dei poveri – in rapidissima crescita, come certificato dall’Istat – con pochi spiccioli: “Se il referendum passa, i 500 milioni risparmiati sui costi della politica, pensate che bello metterli sul fondo della povertà e darli ai nostri concittadini che non ce la fanno”. Fatti due rapidi calcoli, e tenendo conto solo dei “poveri assoluti” (ma anche quelli “relativi” non se la passano troppo bene), quei 500 milioni si tradurrebbero in… 150 euro a testa. Una tantum, in cambio di una costituzione di impianto piduista che potrebbe restare lì per decenni…
A confronto, la sua prediletta Maria Elena Boschi è stata quasi meno volgare. Poverina, ha soltanto evidenziato la sua ignoranza assoluta in diritto costituzionale, pronunciando la frase insulsa che compare oggi su tutti i giornali: “Chi propone di votare No non rispetta il Parlamento”. Ignora, semplicemente, tutta la parte che obbliga alla consultazione referendaria nel caso una riforma costituzionale non sia stata approvata a maggioranza qualificata, ossia superiore ai due terzi. Certo, per una che ha messo faccia sulla “riforma voluta da Napolitano” – come confessa solo ora Renzi – è un difetto grave, ma in fondo l’avevano capito tutti che lei ci stava mettendo solamente la firma.
p.s. Per capire quanto sia credibile la promessa di “mancia” renziana:
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