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La scuola perduta, e la didattica emergenziale a distanza

In questi giorni di forzata “sospensione delle attività didattiche” si sono lette molte cose inesatte, o sbagliate, sino al limite dell’assurdo, sulla didattica a distanza.

Anzitutto, se l’attività didattica è sospesa, non si comprende perché il Ministero, a cui hanno fatto subito seguito molti dirigenti, voglia imporne la continuazione in forma telematica. Ogni docente ha il diritto di scegliere quali metodi e strumenti usare per il proprio insegnamento, i momenti d’emergenza non consentono di derogare ai principi fondamentali della Costituzione, tra i quali la libertà della cultura, della ricerca e dell’insegnamento è centrale.

Tuttavia, il grave momento di difficoltà in cui ci troviamo ha comunque motivato la maggior parte degli insegnanti ad accogliere l’invito a proporre dei momenti di lavoro in via telematica ai propri allievi. Si tratta però, nella maggior parte dei casi, di attività che vanno prese nello spirito del “meglio che niente” e che non autorizzano a teorizzazioni sulla didattica a distanza, né per l’oggi né soprattutto per il futuro.

La didattica a distanza ha avuto nell’ultimo decennio un notevole sviluppo nella formazione professionale, anche dei docenti, ma è molto meno, o per nulla, utilizzata nella scuola italiana, soprattutto in quella dell’obbligo. A questa situazione concorrono ragioni ambientali e pedagogiche. Il territorio italiano è oggi organizzato in modo tale che poche sono le situazioni in cui gli allievi non hanno la possibilità di raggiungere la scuola.

Dal punto di vista metodologico, inoltre, la scuola non è più da decenni fondata su metodi depositari e trasmissivi, ma punta sulla relazione dialogica tra docente e studenti, sui laboratori, sul lavoro di gruppo. Questi metodi hanno il loro terreno d’elezione nella scuola e nella didattica in presenza. Il fatto che alcuni docenti, soprattutto nei licei, abbiano aperto dei siti, dei blog, o utilizzino apposite piattaforme per offrire materiali di documentazione o riflessione ai propri allievi non smentisce questa realtà, poiché tali iniziative si pongono come un complemento e un supporto alla didattica in presenza, e non come una sostituzione della stessa.

Resta poi evidente che la didattica a distanza non sembra adatta alla scuola primaria, sia per motivi pedagogici che tecnici, e che anche nella scuola secondaria di primo grado (ma in parte anche in quella superiore) presenta enormi problemi di concentrazione, di comprensione dei messaggi e soprattutto di mancanza di socialità. Gli studenti di questi gradi di scuola non possono e non devono fruire delle tecnologie in solitaria, devono essere assistiti dagli adulti e questo richiede un coinvolgimento dei genitori che non può essere dato per scontato.

Proprio per le ragioni descritte, le scuole italiane sono poco attrezzate per la didattica a distanza e i docenti non sono formati per farla, semplicemente perché ciò non serve, poiché gli studenti sono quotidianamente a scuola. Una vera didattica a distanza non può comunque essere improvvisata a causa di una situazione inattesa, ma deve essere programmata anche tenendo conto delle situazioni della scuola e degli studenti, che devono tutti essere messi in condizione di potervi partecipare.

Oggi si assiste a una gamma diversificata di iniziative. Alcuni istituti propongono praticamente una serie di “compiti a casa”, altri cercano di garantire un contatto via internet tra docenti e studenti, altri ancora si propongono progetti ambiziosi quanto illusori e dannosi. Tra questi ultimi, gli istituti i cui dirigenti vaneggiano di imitare a distanza il normale orario di lezione, senza nemmeno tenere conto che ciò non è possibile né proficuo. Alcune scuole stanno svolgendo o si propongono di svolgere interrogazioni e compiti in classe via internet. Si tratta di iniziative che devono essere respinte.

Le forme di didattica a distanza attualmente in atto non sono in grado di garantire equità nell’esercizio del diritto allo studio. Alcuni studenti non sono in grado, di seguire queste iniziative e qualcuno non è nemmeno coinvolto o connesso. Tra questi ultimi, spesso proprio gli alunni più fragili e in difficoltà che rischiano l’abbandono.

E’ proprio di questi giorni il caso esemplare, a Milano, di molti alunni rom che sono completamente tagliati fuori da questo tipo di didattica, Non si può quindi ipotizzare alcun tipo di valutazione basato sulle iniziative a distanza che si stanno realizzando nelle nostre scuole, realizzate in condizioni emergenziali, non discusse tra i docenti e non concordate con gli studenti e le famiglie all’inizio dell’anno.

Inoltre, si deve anche tenere conto che proprio per la particolare situazione che stiamo vivendo, molti insegnanti affermano di essersi impegnati nelle iniziative a distanza soprattutto per mantenere il contatto tra loro e gli studenti e tra gli studenti stessi, anche per cercare di alleviare lo stress che ha colto molti giovani a causa dell’improvvisa interruzione dell’anno scolastico. La didattica, se si riesce a farla, può essere utilmente indirizzata soprattutto a momenti di riflessione, a colmare lacune pregresse, non certo a voler “tenere il passo” dei programmi e delle scadenze e magari a formulare valutazioni. Nessuna seria valutazione può essere proposta in una situazione come quella odierna.

Una riflessione più ampia, dal punto di vista pedagogico, merita quanto si sta dicendo e scrivendo in questi giorni sulla didattica a distanza. Se ne sente tessere continuamente l’elogio, e va prestata molta attenzione per evitare che ciò diventi, alla fine, una grande trappola per i docenti e per la scuola. Negli ultimi anni il Ministero dell’Istruzione ha sempre più spostato il baricentro del lavoro degli insegnanti verso il ruolo di somministratore di competenze, accompagnato da un’angoscia della valutazione costante ed “oggettiva” che costringe a programmazioni sempre più costrittive in cui trovano sempre meno spazio la riflessione, la criticità e la relazione.

Si deve fare molta attenzione anche alle parole della ministra Azzolina, che ha auspicato che “l’emergenza possa dare la spinta per l’innovazione”. Senza voler far torto alla vera formazione a distanza, che dovrebbe contemplare anche momenti d’interattività, c’è da temere che essa venga usata per una nuova svolta aziendalista e trasmissiva dell’insegnamento.

 

(grafica di Rocco Castellano)

Non dimentichiamo tra l’altro che alla fine dell’emergenza sanitaria se ne aprirà una economica, che potrebbe essere utilizzata per imporre nuovi piani di austerità. Tali piani potrebbero comportare la sostituzione delle scuole di montagna o di particolari zone a favore della didattica a distanza, oppure vedere i docenti investiti di compiti ancor più gravosi con l’istituzione di classi “virtuali” molto numerose.

Si deve anche considerare che la didattica a distanza si adatta male o per nulla ad alcune discipline scolastiche particolarmente incentrate sulla relazione, come per esempio la musica o l’educazione motoria e anche a tutto quanto concerne l’esperenzialità laboratoriale. Il lavoro di scoperta scientifica, di elaborazione di saperi e concetti a partire dall’esperienza empirica, deve svolgersi in presenza, non attraverso un pc. Un noto esperto d’informatica, Clifford Stoll, osserva:

È molto facile mostrare simulazioni al computer della crescita delle piante, di rane sezionate e di ecosistemi affollati. Nessuna confusione. Nessun animalista offeso. Ma gli effetti della sostituzione della biologia da laboratorio con la biologia virtuale sono di svuotare di significato la scienza e di eliminare il senso di esplorazione e scoperta che porta infine alla comprensione.

Ma i fisici, i chimici e i biologi professionisti non usano i computer? Certo che si, ma non hanno acquisito le loro competenze professionali grazie a un qualche software, né nelle loro scuole si è mai insegnato attraverso simulazioni. Le simulazioni al computer sono potenti strumenti quando usate all’interno della ricerca scientifica, per trovare risposte a specifiche domande. Ma non forniscono comprensione, non possono spiegare che cosa significhi fare scienza, non sono in grado di ispirare quella curiosità che è così essenziale per diventare scienziati. Essi insegnano scienza simulata“. 1

Non voglio negare che in situazioni specifiche possano essere utili iniziative di docenti o di istituti che rendono disponibili materiali in forma online, ma ciò, come ho accennato, deve costituire un’integrazione a supporto della didattica in presenza e non sostituirla. Peraltro chiunque conosca le modalità dell’e-learning, anche per adulti, sa che la modalità più efficace è quella mista che prevede dei momenti chiave in presenza.

Tanto più assurdo sembra dunque pensare di sostituire integralmente la didattica in classe con la didattica a distanza. In ogni caso, si tratta di iniziative che possono essere prese solo quando si è certi che tutti gli allievi possano egualmente usufruirne e non rischiare l’esclusione dei più poveri, dei più fragili o dei disabili. A questo proposito, appare grave che la circolare ministeriale sull’insegnamento a distanza varata in occasione dell’attuale interruzione delle attività didattiche, citi la “particolare attenzione” da portare ai disabili senza offrire in realtà alcuna concreta indicazione.

Giova anche ricordare che non tutte le scuole hanno una composizione e un contesto sociale uguale. Iniziative “a distanza” che non considerino questo fatto rischiano di aumentare ulteriormente le differenze d’opportunità tra le scuole. Non è un caso che un’indagine condotta in questi giorni dal sito Skuola.net metta in luce il divario nella realizzazione delle attività a distanza tra scuole del Nord e del Sud, dovuto soprattutto all’uso di strumenti tecnologici differenti per qualità ed efficacia.

Inoltre, assistiamo proprio in questi giorni alla proliferazione di offerte di piattaforme e programmi da parte di una quantità di aziende che si sono precipitate sul possibile affare. Alcune case editrici hanno già pubblicizzato corsi sul “vincere la paura” e altro. Si dovrà vigilare in futuro affinché attraverso la didattica a distanza non si finisca con mercantilizzare ulteriormente il mondo della scuola.

Tutte queste considerazioni devono essere tenute presenti sia oggi, di fronte alle pressioni di quei dirigenti che pretendono di non considerare che se l’attività didattica è sospesa non la si può sostituire con iniziative improvvisate, sia al termine dell’anno scolastico quando si potrebbe pretendere che gli insegnanti stilino valutazioni di attività dagli obiettivi confusi e che possono creare discriminazioni tra gli allievi. Ma sono anche da tenere presente nel futuro meno vicino, per impedire che dietro l’esaltazione della didattica a distanza si realizzi l’ennesima stretta aziendalista e mercatista della scuola.

1 C. Stoll: Confessioni di un eretico high-tech. Perché i computer nelle scuole non servono e altre considerazioni sulle nuove tecnologie, Garzanti. Milano, 2001, pp. 31-32.

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2 Commenti


  • Roberta Tosi

    I più deboli devono essere inclusi, fornendo loro gli strumenti innovativi e non bisogna rimanere tutti al loro livello per non discriminarli.
    Diamo più strumenti a tutti i ragazzi di qualsiasi etnia, di qualsiasi cultura, di qualsiasi classe sociale e reddito.


  • Ing. gian paolo soddu

    Sembra che la cosiddetta “didattica emergenziale a distanza”, che, a causa della pandemia virale sopperisce in parte alle gravissime difficoltà che ne derivano, sia intravista come l’espressione della modernità del nostro sistema scolastico..
    Assurdo!
    Ma come si può pensare di sostituire il rapporto umano diretto, docente allievo, con un pur accattivante scambio di nozioni via web o similare?
    Qualcuno ha forse dimenticato che la scuola è luogo di apprendimento e formazione dei caratteri? educare non significa riempire la testa di nozioni o informazioni.
    Se la scuola rinuncia al suo ruolo di presidio pubblico dedicato alla formazione ed all’educazione delle nuove generazioni abbiamo proprio raggiunto il fondo.
    La scuola dovrebbe essere il luogo in cui si formano non semplicemente degli automi da inserire nel processo produttivo, dotati delle competenze utili a generare ricchezza materiale, bensì un ambiente di relazioni umane, di trasmissione si di conoscenza, sapere,cultura, arte, ma soprattutto di formazione di “persone”, di cittadini responsabili che si preparino ad entrare in società per contribuire allo sviluppo e alla “costruzione di una civiltà in continuo progresso”.
    I giovani, di qualsiasi età siano, hanno necessità di acquisire capacità, virtù e principi etici e morali; hanno bisogno di punti di riferimento, esempi di comportamento basati sul rispetto reciproco e delle regole di convivenza civile, di imparare che i risultati dipendono dall’impegno e dallo sforzo personale e che il successo nella vita richiede rettitudine di condotta, fidatezza, onestà, sincerità, altruismo, capacità di servizio all’umanità.
    Questi dovrebbero essere i valori fondanti per la stabilità ed il progresso sociali e, in ultima analisi, i presupposti irrinunciabili per una vita che, nelle parole del filosofo, sia “degna di essere vissuta”, dedicata all’indagine della realtà e alla ricerca della verità, dell’onore e infine al perseguimento della felicità individuale e collettiva.
    Questi sono i valori che possono scaturire all’interno di un’esperienza vissuta nel rapporto con i compagni, gli insegnanti e le altre figure istituzionali che definiscono un sistema educativo.
    Un ambiente ove si impari inoltre che l’esercizio pieno della libertà individuale significa non dimenticare mai le conseguenze dei nostri atti, perchè l’atto che non tiene conto delle sue conseguenze è un atto privo di responsabilità, dunque non è un atto profondamente libero.
    Questi valori non possono essere acquisiti attraverso un monitor, ma solo nel rapporto giornaliero con un ambiente accogliente e strutturato per questo scopo, un ambiente che costituisce un microcosmo sociale insostituibile ed un’esperienza di vita di relazioni.
    Gian Paolo Soddu – Cagliari

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