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Altro che lockdown: più della metà degli italiani al lavoro

Il lockdown non ha fermato oltre la metà degli italiani. Secondo l’Istat il 55,7% dei lavoratori continua a recarsi in ufficio o in fabbrica. È quanto emerge dall’analisi effettuata dall’Istituto a fine marzo.  Analizzando le attività economiche dell’industria e dei servizi privati “sospese” e “attive”, sulla base del calcolo di addetti per ciascun settore, l’Istat ha rilevato una forte divisione territoriale. Le restrizioni prese per contenere la diffusione del Coronavirus hanno, infatti, bloccato più i lavoratori al Nord che al Sud.

In molte Regioni del Mezzogiorno – come Basilicata, Sicilia e Calabria – oltre la metà dei comuni fanno registrare una quota di persone al lavoro superiore al valore medio nazionale.

Il numero dei lavoratori che sono andati a lavorare nonostante il lockdown aumenta nelle grandi città. Ad essere sopra la media nazionale sono Genova (69,6%), Bari (68,7%), Roma (68,5%), Ancona (68,4%), Trento (68,3%), Bologna (67,7%), Milano (67,1%) e Palermo (66,6%). 

Colpiscono però, e soprattutto, i dati rilevati per alcune delle aree più colpite dal Coronavirus, come Lodi (73,1%) e Crema (69,2%).

E che la “chiusura” raccontata sia più rappresentata che reale, lo racconta anche un altro dato: In una audizione in Parlamento, due dirigenti della Banca d’Italia hanno riferito che a causa dell’emergenza coronavirus nel mese di marzo la produzione industriale italiana è da ritenersi diminuita del 15%. Dieci giorni fa il Centro Studi Confindustria aveva previsto una riduzione del 16,6%.

Ma il dato confermato dalla Banca d’Italia può anche essere letto al contrario, ed il messaggio che lancia è chiaro. Per l’85% a marzo la produzione c’è stata eccome, nonostante i blocchi e le misure restrittive, che a questo punto sembrano essere validi  e obbligatori solo per le famiglie, i bambini, gli anziani e chi ha perso o a visto sospendere la propria attività lavorativa.

Come si dice, la Confindustria ancora una volta è ricorsa al comodo sistema del “chiagni e fotti”

 

 

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