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Ma quale “Via lombarda alla libertà”…

Milano. Con una giuliva comunicazione via Facebook il presidente lumbard Fontana ha annunciato la “via lombarda alla libertà”. Sfruttando il naturale sentimento di frustrazione dei cittadini, provati da oltre quaranta giorni di segregazione senza risultati decisivi, Fontana tenta di spacciare per “riconquista della libertà” un piano di ripresa industriale che è un salto verso l’ignoto.

Il piano di Fontana si articola sulle quattro “D”. Vale a dire distanza di un metro tra le persone, misura che si è già dimostrata difficile da rispettare nelle fabbriche; dispositivi, cioè le mitiche mascherine e guanti ancora oggi difficili da reperire, e comunque in quantità insufficiente, in tutta la Lombardia; digitalizzazione (per chi può) e diagnosi.

Quanto alla digitalizzazione, cioè il lavoro a domicilio, nulla di nuovo poiché questo provvedimento è stato adottato già dai primi di marzo, ma ha coinvolto solo una minoranza dei lavoratori, impiegati e funzionari di quelle aziende che si sono dimostrate tecnologicamente in grado di garantirlo. Molte imprese non sono state invece capaci di attuare questa forma di lavoro che resta comunque impraticabile nelle fabbriche manifatturiere.

Il risultato è che più della metà dei lavoratori lombardi ha continuato a doversi recare al posto di lavoro in condizioni di mancanza di sicurezza. A questa situazione ha contribuito peraltro anche il meccanismo delle “autocertificazioni” autorizzate dal governo centrale e il principio del “silenzio-assenso” per la loro accettazione, che ha comportato la riapertura di migliaia di imprese improvvisamente auto-dichiaratesi parte delle filiere produttive indispensabili.

Sulla quarta “D”, cioè la diagnosi, Fontana fa affidamento sui test sierologici che si stanno approntando presso il San Matteo di Pavia. La sperimentazione di tali test sembra dare risultati positivi, tuttavia è ancora da chiarire quale sia la durata della copertura anticorpale e da verificare quale sia la percentuale dei falsi positivi che potrebbero essere esposti a gravi rischi. Ma soprattutto, è evidentemente impossibile realizzare una campagna di test di massa su una percentuale rilevante della popolazione (cioè quasi tutti i 10.000.000 di lombardi) entro il 4 maggio, quando Fontana vorrebbe riaprire tutto.

Secondo Fontana, le misure previste dovrebbero portare la Lombardia a una “nuova normalità” che si prevede piuttosto triste, tra distanziazioni, mascherine e una vita in cui l’unica “libertà” sarà quella di andare al lavoro, con la paura del contagio per sé e, al rientro, per la propria famiglia, e dove sulla via del ritorno anche fermarsi a prendere una boccata d’aria in un parco potrebbe essere oggetto di sanzioni. Non parliamo poi di “assembramenti”…

Dopo aver snocciolato confusamente numeri su quantità di milioni che la Regione metterà a disposizione della cassa integrazione, dei medici e infermieri lombardi e delle imprese, cifre sulle quali “sarà presto più preciso”, Fontana ha concluso con lo slogan a effetto “La Lombardia parla con i fatti”.

Uno slogan che suona grottesco, poiché se si vuole stare ai fatti, mentre Fontana parlava, si contavano i morti quotidiani in Regione, che anche ieri sono stati (ufficialmente, reali non si sa) 235, con il tasso di mortalità più alto in tutto il mondo (un totale di 11.377 dall’inizio dell’emergenza).

Tra gli ultimi dati disponibili che spiegano una mortalità così elevata, quello sulle Unità speciali di continuità assistenziale, squadre di medici che dovrebbero garantire l’assistenza ai pazienti domiciliari. Attualmente tali squadre sono solo 37, mentre ne servirebbero 200.

Questo fatto è particolarmente grave poiché fa si che spesso i pazienti senza cure domiciliari adeguate si aggravino e siano in seguito inviati agli ospedali con un quadro clinico già compromesso. Si sa di pazienti a domicilio che hanno potuto curarsi sono con qualche pastiglia di paracetamolo, adatta – come è noto – giusto a placare la febbre delle normali influenze stagionali.

Quanto alla diagnosi e alla prevenzione del contagio, Fontana, che ora parla di test sierologici, dovrebbe spiegare l’incapacità di fornire tamponi alle persone entrate in contatto con i malati e anche rendere conto del perché troppe persone positive hanno dovuto trascorrere la quarantena in famiglia, con moglie o marito e magari i figli, rischiando così di contagiarli.

Resta da approfondire, a questo proposito, il caso dell’Hotel Michelangelo di Milano, requisito dal Comune proprio per isolare le persone in quarantena. Tale hotel ha la disponibilità di 300 posti, ma sinora la Regione vi ha inviato solo un centinaio di persone in quarantena.

Tutto questo senza ritornare sulla questione delle RSA, del nuovo ospedale Fiera su cui Contropiano ha già scritto più volte. Fermiamo Fontana e fermiamo Gallera, questa giunta deve andarsene per la salvezza dei lombardi.

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