La pandemia ha imposto al Governo italiano di prendere delle misure a tutela di chi, a causa del lockdown, ha subito un danno economico. La più nota è l’assegnazione di un sussidio da 600 euro ai lavoratori autonomi o di particolari categorie. Un provvedimento giusto, nato con le migliori intenzioni, ma che presenta delle storture, forse non casuali.
Ha destato molto scalpore il fatto che alcune centinaia di notai abbiano fatto domanda per il sussidio. Chiunque sia passato per lo studio di un notaio fa molta fatica ad immaginare come sia possibile che qualcuno di loro dichiari meno di 50.000 euro (il tetto di reddito per i beneficiari). Questo comunque è un aspetto che riguarda l’agenzia tributaria e sul quale non si può rinfacciare nulla al Governo. Oltretutto quello dei notai è anche un caso estremamente marginale.
Molto più diffuso è invece un altro problema, quello dei liberi professionisti iscritti a più di un ente di previdenza, cui non viene concesso il sussidio di 600 euro. La cosa ha una sua logica, che però è sbagliata: si vuole evitare che qualcuno prenda il sussidio due volte, ma si finisce per escludere i più poveri.
I professionisti iscritti a più di un ente di previdenza di norma sono quelli economicamente più deboli, dei veri “lavoratori atipici”. Sono quelli che, con la libera professione, non riescono ad arrivare a fine mese e quindi arrotondano lavorando anche per delle imprese (o viceversa, dei lavoratori che arrotondano con la partita IVA). Dei lavoratori che collaborano con diverse imprese che adoperano forme contrattuali differenti.
Per fare degli esempi concreti, si tratta di avvocati, psicologi, medici, infermieri, biologi, ecc. Per scongiurare che qualcuno prenda due volte i sussidi basterebbe imporre che si possano prendere solo da un ente.
Invece, negando il sussidio a quelli iscritti a più di un ente, si favoriscono i ricchi a dispetto dei meno abbienti. A quelli affermati (o garantiti) che vivono solo grazie alla libera professione è erogato il sussidio, mentre a quelli costretti alla flessibilità del lavoro è negato ogni aiuto.
A questo, si aggiunge un altro paradosso. Molti liberi professionisti sono evasori fiscali, mentre un lavoratore iscritto a due enti previdenziali, almeno in uno (quello da dipendente) paga tutte le tasse. Quindi un precario costretto a due lavori, che paga molte tasse e che con fatica arriva a fine mese non riceverà nulla, mentre un ricco libero professionista che dichiara meno di 50.000 euro (e magari ne evade diverse altre centinaia) potrà accedere al sussidio.
Questa assurda stortura deve essere immediatamente rimossa (con effetto retroattivo), ma ci costringe a riflettere sul tema della rappresentanza.
Il nuovo mercato del lavoro spesso ci ha reso “imprenditori di noi stessi”, delle monadi senza rappresentanza e senza tutele. Gli iscritti a più di un ente di previdenza, nel luogo di lavoro da dipendente, possono essere tutelati dai sindacati, mentre per le mansioni svolte come libero professionista, potrebbero essere rappresentati dagli ordini professionali. Però la maggior parte degli ordini professionali sono in mano alle élite e si guardano bene dal fare gli interessi dei lavoratori precari.
Tuttavia non è detto che neanche i sindacati facciano gli interessi dei lavoratori, basti guardare a cosa hanno fatto i confederali negli ultimi 30 anni. La più recente schifezza della CGIL è di voler abbattere (almeno nel settore spettacolo) il tetto dei 50.000 euro per i beneficiari dei 600 euro. In una fase in cui a molti lavoratori precari (lavoratori poveri) viene negato ogni sussidio, la CGIL si preoccupa di estenderlo ai più ricchi.
Va nuovamente preso atto che gli ordini professionali e i sindacati confederali non fanno gli interessi dei lavoratori precari, ma solo delle élite e del potere.
Il Governo si deve quindi rivolgere alle rappresentanze più genuine del nuovo e complesso mondo del lavoro. Solo così si potrà garantire l’equità e si potranno gettare le basi per far ripartire il sistema produttivo del Paese.
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Chiara Dellocchio
Salve, è uno scandalo, tantissimi liberi professionisti che per vivere svolgono un doppio lavoro non riceveranno il bonus dei 600 euro.
Sono una giovane psicologa, libera professionista che lavora anche per una Cooperativa sociale qualche ora la settimana (9 ore settimanali)
Vivevo prevalentemente di libera professione ma risultando anche lavoratrice dipendente non avrò diritto al bonus nonostante il danno economico da me subito.
È ingiusto e discriminante. Tanti altri colleghi come me sono nelle mie stesse condizioni.
Lo stato deve intervenire, anche noi dobbiamo essere tutelati.
Chiara Dellocchio