La proposta è sul piatto, il programma dell’Alba EuroMediterranea prende forma, il primo ideale capitolo del moderno Che fare è scritto. E non da oggi…
Si potrebbe sintetizzare così il senso della partecipatissima quarta video-iniziativa andata “in onda” sabato 18 aprile, in cui si è discusso della costruzione di un’alternativa credibile all’odierna architettura dei Trattati dell’Unione europea (qui il video integrale).
Le relazioni di Alessandro Giannelli per la Piattaforma Eurostop e di Luciano Vasapollo per la Rete dei Comunisti hanno affrontato rispettivamente il dibattito sulle misure anti-crisi fornite dall’Ue e la proposta lanciata dieci anni fa dalla RdC in risposta alle asimmetrie su cui è stata costruita l’Unione stessa.
In sintesi, il “modello europeo” centrato sul libero mercato, sul ridimensionamento dello Stato e di tutti i sistemi di protezione sociale pubblici a esso legato e sulla dittatura del profitto, certificati nella serie di Trattati che lo compongono, non è stato in grado di rispondere alle esigenze collettive avanzate dai popoli che abitano il Vecchio continente, colpiti duramente dalla pandemia da coronavirus.
Il processo di integrazione europeo ha fatto dell’asimmetria di trattamento – sia tra gli Stati membri, sia tra le classi all’interno di uno stesso territorio – la sua forma di governo, esasperando quelle diseguaglianze già presenti alla soglia del nuovo millennio.
I limiti imposti al rapporto debito/Pil o a quello defcit/Pil hanno impattato fortemente il livello del salario sociale tout court, determinando una forte redistribuzione della ricchezza sia dal mondo del lavoro verso quello del capitale, specie se avente carattere multinazionale, sia dai paesi geograficamente situati nel Sud dell’Unione verso quelli del Nord, di cui il ricatto del debito e la discrepanza sul trattamento della bilancia dei pagamenti sono stati gli strumenti più influenti.
Il collasso del “Sistema sanitario nazionale” in tutti i paesi colpiti dalla pandemia proprio nel momento di maggiore bisogno è solo il macro-esempio degli effetti dell’arretramento decennale del ruolo del pubblico rispetto alle esigenze collettive, di cui in Italia il “partito trasversale del Pil” (da tutta la destra al Pd), la Confindustria e i sindacati concertativi come CgilCisl&Uil ne sono i maggiori artefici.
Dinanzi all’emergenza sono cadute le ideologie che sostenevano i vincoli, come il Fiscal compact, che tanta miseria hanno disseminato negli ultimi anni, misure che però sono stato solo “sospese” nel momento in cui la retorica del “non ci sono i soldi” non poteva più reggere all’urto della recessione.
Tuttavia, ciò che fino a ora non è stato messo in discussione è la gerarchia su cui si basano i rapporti di forza all’interno dell’Ue, funzionali alla grande borghesia del continente, la quale trova espressione nell’inconsistenza degli strumenti tutt’altro che extra-ordinari messi in campo dal Consiglio europeo e dall’Eurogruppo per fronteggiare il blocco delle attività produttive.
Al di là delle narrazioni infatti, i pur pochi soldi presenti nel “pacchetto europeo” sono legati alla logica dei vincoli della disciplina di bilancio e alle stringenti condizionalità per il rientro dei prestiti eventualmente ottenuti: ancora una volta, un potenziale cappio al collo per quelle economie, e cioè per quelle popolazioni, già salassate da anni di austerità.
Ma se le soluzioni non vengono dai “carnefici”, e se lo spazio di una ripartenza economica è precluso nelle compatibilità coi Trattati vigenti, dimostratisi irriformabili anche di fronte alla tragedia umanitaria in corso, allora c’è bisogno di un programma per un’alternativa di sistema credibile per le classi subalterne di tutti i paesi, a partire dall’alleanza di quelle più colpite dal “progetto europeista”.
La proposta dell’Alba EuroMediterranea si inserisce in questa faglia, sancendo la necessità dell’uscita dall’Unione europea, dal sistema dell’Euro e dalla Nato.
La crisi del Modo di produzione capitalistico porta con se quella del sistema monetario basato sulla dollarizzazione del mondo, strumento decisivo per quell’egemonia statunitense oggi in declino, inasprendo la competizione tra i diversi poli geopolitici e le rispettive valute.
La partita dell’Euro si gioca in questa dinamica, ma la sua composizione è tale da favorire i paesi esportatori più importanti, come Germania o Olanda, che hanno bisogno di una moneta stabile per garantire la posizione di vantaggio sui paesi importatori, che invece avrebbero bisogno di svalutazioni competitive per riequilibrare la bilancia dei pagamenti.
Nell’Unione questa architettura non può essere messa in discussione, previa la redistribuzione del valore lungo la catena di produzione, e dei profitti a favore della rendita, con la conseguente fine dei privilegi assicurati a partire da Maastricht.
Questa condizione pone i paesi Pigs in una nuova e subordinata divisione internazionale del lavoro emersa dalla deindustrializzazione forzata dell’ultimo trentennio. Ma se ritrovare la centralità dell’intervento pubblico è un’opzione in comune con la maggior parte delle posizioni nel dibattito in corso, il cambio di prospettiva emerge con tutta la sua forza nella scelta di quali interessi l’intervento dello Stato dovrebbe andare a curare.
Come sempre, è l’analisi di classe che incide realmente nelle scelte politiche ed economiche da porre in essere rispetto a quelle liberali e liberiste, indipendentemente dalle varie forme storiche in cui queste si manifestano.
Lo “sganciamento” dall’azienda mondo votata al profitto, messo nero su bianco da Samir Amin e praticato da numerose esperienze contemporanee – come dall’Alba in Sudamerica o dai sistemi di pagamento alternativi a quelli legati al dollaro, sfruttando anche le nuove tecnologie come le cripto monete –, diventa perciò la sperimentazione necessaria per un sistema fuori e contro quello concepito per la speculazione finanziaria, lo sfruttamento del lavoro e la distruzione dell’ambiente naturale circostante, che non è altro che la distruzione delle possibilità di sopravvivenza dell’essere umano e delle altre specie viventi.
Si tratta di guadagnare spazi di sovranità popolare e di istituire un processo di accumulazione favorevole per i bisogni dei settori subalterni, favorendo le dinamiche giuridiche, amministrative, politiche, sociali ecc., nei confronti della democrazia socialista, contro la dittatura del libero mercato.
Per fare questo, la conditio sine qua non è l’uscita dalla gabbia dell’Unione europea e dal sistema dei Trattati che la compone.
L’exit dovrebbe avvenire in maniera concertata tra quei paesi membri che si trovano nelle stesse condizioni di subalternità, i quali dovrebbero dotarsi di una nuova moneta basata sulla complementarietà tra le economie che ne fanno parte, ridenominando nel cambio della nuova valuta il debito accumulato, azzerandone una parte per via della svalutazione e contrattando la ristrutturazione di quella rimanente.
L’autonomia politica interna dovrebbe essere accompagnata da quella estera, imponendo così l’uscita dalla logica imperialista dell’alleanza atlantica, a favore di nuove relazioni internazionali fondate sulla solidarietà, sulla cooperazione e sul non interventismo militare.
E ancora, nazionalizzazione delle banche per avere il controllo della circolazione del capitale, dei settori strategici, controllo sociale degli investimenti e dei movimenti dei capitali, riaffermazione del ruolo delle economie locali in una dinamica di centralizzazione dell’indirizzo di sviluppo a beneficio di lavoratori, studenti e pensionati, rimessa al centro dei bisogni degli abitanti fuggendo gli indicatori meramente quantitativi, come il Pil, che mal rappresentano le reali condizioni di vita.
Queste misure sono imprescindibili per far sì che milioni di lavoratori da una parte e l’altra del Mediterraneo, incatenati nella povertà e nella precarietà assegnatagli dall’attuale divisione internazionale del lavoro, possano riprendere il controllo della ricchezza da loro loro creata e volgerla verso programmi di sviluppo eco-socio-compatibili, di benessere collettivo e di emancipazione individuale, riducendo l’orario di lavoro – beneficiando dunque dello sviluppo tecnologico per la liberazione dal lavoro necessario alla riproduzione sociale – a parità di salario e a pieni diritti ed espressione delle capacità.
L’Alba EuroMediterranea si pone dunque come programma concreto per perseguire lo sviluppo autodeterminato nella democrazia economica a carattere socialista. Alle soggettività più consapevoli del momento storico, il compito di attuarlo.
- © Riproduzione possibile DIETRO ESPLICITO CONSENSO della REDAZIONE di CONTROPIANO
Ultima modifica: stampa