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Salvini si propone come il Bolsonaro della “bassa”

Sentire Salvini e vomitare è un attimo, lo sappiamo. Però qualche volta va ascoltato, e pure attentamente, perché così si capisce meglio chi siano i suoi pupari e si mette sullo sfondo quel mare di stronzate con cui nasconde il suo servilismo.

Questa intervista gli è uscita probabilmente troppo esplicita, e si qualifica da solo come un semplice agente del capitale di grandi dimensioni, quello multinazionale, che può piegare interi paesi alla propria volontà.

La critica che gli fa Francesco Erspamer su L’Antidiplomatico, intellettuale a suo tempo affascinato dalla novità del movimento Cinque Stelle, è dura, ma implementabile.

Ad esempio, “questo” Salvini non farebbe mai “quota 100”, che pure gli è servita per conquistare i voti dei lavoratori del Nord (ma anche del CentroSud) e quelli di un po’ di pensionati.

Ora quel piccolo strappo nell’architettura ferrea della “riforma Fornero” sta per chiudersi, visto che era stato disegnato come “esperimento temporaneo” per rispettare fino in fondo le prescrizioni della Commissione Europea, che non vedeva ovviamente di buon occhio questo accenno di marcia indietri su uno dei pilastri della deflazione salariale continentale.

Salvini, ora, assicura anche i piani alti di Bruxelles: “fidatevi di me, ho persino proposto Mario Draghi come presidente del Consiglio, sarò il vostro più fedele esecutore”.

La velocità della giravolta è alta, ma probabilmente arriva tardi. E quindi Salvini ha dovuto essere più chiaro del solito. La sua inaffidabilità come “leader”, dopo l’estate del mojito, è stata acclarata.

I suoi pupari stanno facendo il casting con altri personaggi. Che presto ci verranno indicati da Repubblica (casa Fiat-Fca), Corriere (l’antico “salotto buono”), e li vedremo omaggiati ogni sera da Lilli Gruber, Floris, Vespa, Bianca Berlinguer, Formigli, ecc.

A Salvini, presto, resterà solo Del Debbio e qualche comparsata da Barbara Palombelli. In serie B, insomma…

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Il Far West liberista di Salvini è il trionfo delle multinazionali

Francesco Erspamer

Finalmente Salvini lo ha detto in modo esplicito: con i pieni poteri che chiese dal Papeete la scorsa estate, subito dopo aver fatto cadere il governo gialloverde, imporrebbe un liberismo assoluto.

In sostanza, un dittatore ma liberale, un uomo forte ma solo per indebolire lo Stato e permettere ai privati, alle multinazionali straniere e alla mafia di fare quello che vogliono. Un po’ come fanno Bolsonaro in Brasile e Trump negli Stati Uniti.

Meglio citare le sue esatte parole (leggete sotto la trascrizione testuale dell’intervista del 23 aprile all’Agenzia Vista): “serve totale deregulation, la rivoluzione liberale”.

E, a scanso di equivoci, eccolo precisare che la rivoluzione liberale che ha in mente è proprio quella “di cui si parlava trent’anni fa”, ossia quella radicale e berlusconiana, che chiedeva, e in buona parte realizzò, la privatizzazione della sanità e dei trasporti, la svendita dell’economia italiana agli stranieri, l’ingresso nell’euro, soprattutto l’affossamento delle piccole e medie imprese, in sostanza della classe media, a vantaggio delle multinazionali e dei ricchi.

Cos’altro credete che significhi, parole di Salvini, “ripartire da una totale libertà d’impresa, libertà del singolo”?

Significa che il più grosso, il più ricco, il più scorretto, vince.

Infatti Salvini vuole un “azzeramento di tutti i controlli preventivi” e lo smantellamento degli organismi statali creati per impedire abusi, illegalità, scempi: “il codice degli appalti, l’anticorruzione, la Corte dei Conti, le sovrintendenze, il TAR”.

Come a dire, mano libera agli speculatori, alla mafia, alle megacorporation, ai furbi e furbetti, agli amici degli amici.

Ascoltate la conclusione: “Totale libertà di azione ai cittadini e alle imprese”; come se in assenza di regole e in assenza di controlli i cittadini e i lavoratori abbiano mai avuto alcuna possibilità di contrastare lo strapotere dei ricchi e delle grandi imprese. 

Puro neoliberismo insomma, addirittura caricaturale nella sua esaltazione trumpista del diritto del più forte di imporsi, darwinianamente.

Forse è per questo che Meloni, la fascista immaginaria, è al suo fianco; perché confonde, come immagino i suoi seguaci, il fascismo con il nazismo e quest’ultimo con il “diritto naturale” dei vincenti di prendersi tutto.

Così non si accorge, o fa finta di non accorgersi, che quello di Salvini è nei fatti, e adesso anche nella retorica, un programma di rapida americanizzazione dell’Italia, che non sarebbe piaciuto ai fascisti o ai nazionalisti.

Non credo che tutti i leghisti siano così e neanche i conservatori che votano Fratelli d’Italia perché gli pare un nome tanto patriottico.

O forse mi illudo, visto che per decenni hanno idolatrato l’immorale, anti-italiano, miliardario Berlusconi, quello che ha spostato la sede fiscale delle sue imprese in Olanda e che al primo segnale di pericolo se n’è scappato in Francia.
In ogni caso è questa la fondamentale scelta politica del nostro tempo, rispetto alla quale verificare il volere degli italiani: la totale deregolamentazione e impunità invocata da Salvini e Meloni e dal loro burattinaio, Berlusconi, o un ritorno alle regole e alla certezza della pena per i trasgressori, ossia allo Stato.

Non ho purtroppo fiducia nel Pd, in questo Pd ancora in mano ai renziani; ma il M5S deve rapidamente e con forza definire la sua ideologia statalista: più controlli, più severità, più limitazioni.

A cominciare da quelle che favoriscono le piccole imprese, in particolare l’obbligo della chiusura serale e nei giorni festivi degli esercizi commerciali e una riforma fiscale che alleggerisca la pressione sulle imprese famigliari aumentandola drasticamente sulle grandi catene.

Se gli italiani vogliono che il nostro paese diventi la brutta copia degli Stati Uniti, possono deciderlo democraticamente; ma devono sapere quello che stanno facendo, non votare Salvini o Meloni perché credono che siano populisti.

IL TESTO DELL’INTERVISTA:
Domanda: 
“Secondo Salvini, come bisogna ripartire, da dove bisogna ripartire?”
Risposta: 
“Dalla libertà, da una totale libertà d’impresa. Libertà del singolo. Azzeramento di tutta la burocrazia, di tutti i controlli preventivi, silenzio-assenso per le domande nei Comuni, via il codice degli appalti, tutta la trafila ANAC [=Autorità nazionale anti-corruzione], Corte dei Conti, sovrintendenze, TAR. Totale deregulation, la rivoluzione liberale di cui si parlava, ahimè senza riuscirci, trent’anni fa; e quindi totale libertà di azione ai cittadini e alle imprese, cancellazione di ogni vincolo burocratico”.

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