Tutto il dibattito di questi giorni circa l’intenzione manifestata dal Governo giallo-verde di ridurre drasticamente le aperture domenicali di supermercati e dei centri commerciali ha fatto venire ancora una volta alla luce la totale subalternità di ampi settori politici e sindacali di ciò che un tempo chiamavamo sinistra alla più truce ideologia neoliberista.
Intanto, qualcuno, se ci riesce, dovrebbe spiegarci come fanno a crollare i consumi con la chiusura dei negozi la domenica in un paese che in cui le retribuzioni medie sono inferiori a quelle di dieci anni fa. Non ci vuole un master in economia per capire che in un paese in quasi deflazione(inflazione al 1,2%) la domanda è stagnante e lo è, ormai, da un bel pezzo. Le aperture festive sono solo state solo un modo per comprimere i diritti dei lavoratori del commercio con la complicità esplicita dei sindacati tradizionali.
Il paradosso vero è, invece, una sedicente sinistra che dice di voler costruire un “fronte” di opposizione al governo attuale ma continua pervicacemente a cavalcare il paradigma ultraliberista “più mercato, più benessere per tutti”. E’ quel noto assioma teologico della globalizzazione liberista che viene scimmiottato in continuazione dagli epigoni nostrani della famigerata scuola di Chicago che creerebbe più ricchezza “perché mette in concorrenza paesi ed aree diverse del mondo.” . Un assunto che si è rivelato nel tempo completamente falso ma che è stato adottato di peso dalle vecchie sinistre europee, in cerca di nuovi orizzonti post-ideologici, quale dogma intangibile da opporre al protezionismo ed ai dazi storicamente ascrivibili alla tradizione politica dei vecchi nazionalismi.
Oggi sappiamo che la delocalizzazione produttiva nei paesi in cui la manodopera era priva di diritti ed a basso costo, dal 1998 ad oggi, ha causato il fallimento di milioni di aziende creando altrettante decine di milioni di disoccupati in tutti i settori dell’economia. Eppure l’Unione Europea, ha scelto quale suo principio cardine proprio quello della “tutela della concorrenza”, ovvero, del “libero mercato”. In qualsiasi atto di matrice comunitaria quando trovate le espressioni “trasparenza”, “rotazione”, “adeguata pubblicità” e “parità di trattamento” il riferimento è esclusivamente volto alla “tutela della concorrenza” giammai ad altri diritti fondamentali dell’uomo, universali ed inalienabili, come quello alla salute, all’istruzione, ad avere un lavoro che garantisca una vita dignitosa e che non metta tutti i giorni a rischio la propria vita. Eppure si tratta di principi centrali nelle Costituzioni dei suoi stati membri più importanti, in primis, la nostra.
La globalizzazione liberista ha creato solo le condizioni per accrescere la ricchezza delle grandi aziende multinazionali e l’aumento vertiginoso delle disuguaglianze fino al punto che, attualmente, 42 persone possiedono la stessa ricchezza dei 3,7 miliardi di persone meno abbienti e che appena 61 persone possiedono la stessa ricchezza della metà più povera della popolazione mondiale. In altre parole, la globalizzazione ci ha consegnato un mondo molto più ingiusto; un mondo in cui l’ 1% più ricco continua a possedere più ricchezze di tutto il resto dell’umanità.[1]
Ed è qui la contraddizione principale che molti, anche a sinistra si ostinano a non voler vedere: mentre la globalizzazione liberista metteva in ginocchio il welfare state, creava una nuova grande disoccupazione di massa ed avviava il ciclo delle nuove “guerre civili globali” (ovvero, di quei conflitti che si svolgono su scala planetaria in quello spazio globalizzato in cui la sovranità statale è ridimensionata e i confini territoriali cancellati) [2], la vecchie sinistre europee si allineavano tanto pedissequamente all’ideologia neoliberista al punto di fare dell’attuale Unione Europea un superstato fondato su di una forma estrema di neoliberismo, l’ ”ordoliberismo”, ovvero, sul modello della cosiddetta economia sociale di mercato di matrice austro-franco-tedesca secondo la quale è lo Stato stesso a dover gestire, direttamente ed apertamente, gli interessi delle banche e delle grande compagnie assicurative. Uno Stato che usa la clava del debito pubblico per fare a pezzi lo stato sociale, mantenere bassi i salari e condurre privatizzazioni selvagge.
In questo senso i “Trattati europei” sono un concentrato di ideologia ordoliberista e di neoliberalismo che ha origine dalla cosiddetta “scuola di Chicago” e dalle teorie di Friedrich August von Hayek [3] . “ Si è creato un circuito perverso che dalla sottrazione di potere ai Parlamenti, si estende in Italia alla sottrazione del potere decisionale ai cittadini in materie che li toccano direttamente. E che le decisioni di Bruxelles li tocchino direttamente è esperienza diretta di tutti: basta pensare che in questi anni di Grande Recessione, le misure di austerità sono state decise a Bruxelles, che ha accentrato tutto il potere in tutti i campi delle politiche pubbliche. Con il Fiscal Compact, il Patto Fiscale, con il Trattato del Meccanismo Europeo di Stabilità, con il pareggio di bilancio introdotto in Costituzione, Bruxelles ha imposto le politiche di austerità che hanno deregolamentato e liberalizzato il mercato del lavoro con il Jobs Act, privatizzato sanità e servizi pubblici, hanno aziendalizzato scuola e Università per renderle funzionali ai bisogni di formazione delle imprese capitalistiche, hanno tagliato le pensioni e innalzato l’età pensionabile con la controriforma Fornero, hanno semplificato le procedure amministrative e giudiziarie per favorire la competitività delle imprese private, hanno dato garanzie e sostegni finanziari alle banche mentre hanno tagliato i finanziamenti ai Comuni che hanno tagliato a loro volta i servizi.”[4]
Le destre stanno solcando, ormai indisturbate, le praterie che gli hanno lasciato le vecchie sinistre ed è proprio alla svolta neoliberista delle organizzazioni politiche e sindacali di sinistra degli anni ’90 che va ascritta l’origine degli odierni populismi reazionari. E tuttavia sarebbe sbagliato far coincidere la nozione di populismo con quella di destra ancorché “nuova”. All’inizio di questo pezzo ho preso spunto dal dibattito sviluppatosi in Italia, intorno all’intenzione dell’attuale governo di limitare le aperture festive e dei negozi ma la questione è molto più vasta e complessa. Un sondaggio di Euromedia e di Piepoli, reso pubblico ieri, conferma un leggerissimo calo rispetto al 4 marzo del M5S ed un’impennata della Lega di Salvini che supera di poco il 30%, mentre l’area del centrosinistra si attesta intorno al 20 per cento tutta insieme. Insomma i due partiti dell’area di governo insieme fanno il 60%(!) .
Se sulla legge di bilancio il ministro delle Finanze Tria non sembra disposto a cedere di un millimetro sulle “compatibilità di bilancio” i Cinque Stelle sono tornati all’attacco sul reddito di cittadinanza mentre la Lega chiede la fatidica “quota 100” sulle pensioni e sembra voler accantonare, per ora, la costosissima flat tax. Dunque, i populisti nostrani rispondono alla domanda di protezione in questo modo. Ci riusciranno ? Vedremo. Tuttavia, sanno che il prossimo anno si terranno le elezioni europee e vogliono tenersi stretto il proprio vasto bacino di consenso. Un elettorato che, per ora, appare fedele e comunque totalmente de-ideologizzato ma in attesa di qualche risultato concreto.
Dunque, protezione sociale e previdenza pubblica, ovvero, in una parola, “protezione”. Non è semplicemente uno spazio politico tra gli altri: è lo spazio politico. E se davvero si vuole procedere in un percorso di costruzione di una reale alternativa politica, sociale e culturale è su queste cose che andrà incalzato il governo, non certo sul rispetto dei vincoli di bilancio e del rapporto deficit-PIL al 3%. La sinistra è evaporata da quando ha dimenticato che « non è la coscienza degli uomini che determina il loro essere, ma è, al contrario, il loro essere sociale che de termina la loro coscienza. ».
Altrimenti rassegnatevi al duo Di Maio-Salvini, o al prossimo governo tecnico.
[1] Rapporto Oxfam 2017;
[2] “La seconda globalizzazione“, Saggio di Marco Revelli pubblicato su Carta nr. 5 del 7/2/2002;
[3] Friedrich August von Hayek (1889 – 1992), economista e filosofo austriaco, premio Nobel per l’economia e nello studio dell’influenza dell’individualismo sull’economia e nell’elaborazione della teoria dell’ordine spontaneo. Fra le sue opere la più nota è sicuramente “Legge, legislazione e libertà” (1986);
[4] “Cosa sono e contro chi sono diretti i Trattati Europei” di Franco Russo pubblicato su Contropiano il 10 giugno 2018, https://contropiano.org/news/politica-news/2018/06/10/cosa-sono-e-contro-chi-sono-diretti-i-trattati-europei-0104819
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Sigismondo Latrofa
Bisogna ritornare al lavoro di massa e uns Inea di massa proletaria e alleati:cioè sanità e scuola anticlassista potenziamento riorganizzazione del Welfer e ripresa delle lotte salariali e occupazionali