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La risposta della Raggi alla crisi? Lavoro non pagato e baratto

Così come gli amici si vedono nel momento del bisogno, una classe dirigenziale si rivela per quello che è – soprattutto – nelle fasi emergenziali di un paese, di una città, o di un’industria, ecc.

L’indecenza di chi siede o di chi è stato seduto sugli scranni che hanno ospitato i governi dell’ultimo trentennio non è certo una novità, o almeno crediamo non lo sia per i lettori più assidui di questo giornale.

Ma a ogni tornante significativo, il pozzo in cui precipita la classe politica nostrana rivela profondità, ossia bassezze, inimmaginabili, oltre che non auspicabili, avendo tali bassezze dirette conseguenze sul nostro futuro.

Con queste righe crediamo di raccontare l’ennesima vetta nelle infamità perpetrate da un’amministrazione, nella fattispecie quella capitolina, ai danni dei propri abitanti.

La nascita del “Mercato sociale”

È notizia di giovedì infatti che la sindaca di Roma Virginia Raggi e la presidente del Municipio X Giuliana Di Pillo (M5S), con l’inaugurazione del “Mercato sociale di Roma Capitale” a Ostia, hanno fatto precipitare la dignità del lavoro e quella di lavoratori e lavoratrici a un gradino appena dalla schiavitù.

In questo “mercato speciale” infatti il cibo non sarà acquistabile col denaro, ma tramite i punti accumulati su una card, punti che saranno il frutto delle ore di lavoro spese in attività socialmente utili o connesse direttamente al Mercato stesso, per cui è previsto addirittura un corso di formazione per il conseguimento dell’attestato Haccp.

La cura del verde o lavori di piccola manutenzione urbana sono le mansioni che le famiglie più colpite dalla crisi economico-sociale saranno costrette a svolgere per avere in cambio generi alimentari di prima necessità, come un po’ di olio, latte in polvere, pasta, riso, cibo in scatola, e via dicendo.

La gravità del declassamento sociale di un pezzo di cittadinanza a cui tende questa manovra è tale, e per certi versi inaspettata, che risulta difficile collocarla anche all’interno di un quadro di discussione compatibile con il disastro sociale messo in campo da questa come dalle precedenti amministrazioni – nessuna esclusa, dalla destra con Alemanno al centro-sinistra con Rutelli, Veltroni e Marino.

L’aumento delle diseguaglianze nella capitale

Roma è una città che non ha mai digerito il passaggio al nuovo millennio, periodo in cui le diseguaglianze, sempre esistite, sono tornate tuttavia a crescere.

cartina roma diseguaglianzeLe caratteristiche principali sono state l’emersione di un nuovo ceto povero e l’assottigliamento della classe media, la discontinuità reddituale, l’innalzamento del costo della vita dovuto al relativo aumento del benessere da parte dell’“élite cognitiva”, e l’innalzamento a macchia d’olio del costo medio per l’affitto di una casa conseguente alla messa a valore di una porzione di città a favore del settore turistico. In un concetto, appunto, l’impennata delle diseguaglianze.

Questa polarizzazione fa il palio sia con quella tra la città vetrina e la periferia che si sviluppa lungo le consolari, sia con quella del mercato del lavoro (lavoro stabile contro lavoro povero) e di conseguenza del reddito a disposizione delle famiglie, o degli individui, che abitano Roma.

L’insostenibilità sociale della “New Economy” espressa dalla bolla internet del 2000, dei mutui del 2008, dalla crisi del debito 2011 ed emersa con tutta la sua forza con la pandemia in corso, ha esasperato questa tendenza già presente e incarnata, tra le altre cose, nella disoccupazione e nella povertà, relativa e assoluta.

La risposta dell’amministrazione

E come risponde la sindaca a questa condizione?

Non con un piano di assunzioni pubbliche che rimettano in moto l’economia della città, fornendo reddito e quindi possibili consumi ai suoi abitanti; non con la messa in discussione dei vincoli di bilancio che impediscono l’espansione degli ammortizzatori sociali indispensabili nei periodi di forte contrazione economica; non con la promozione di relazioni di solidarietà in grado di supplire anche ai limiti materiali che, in alcuni casi, possono emergere.

Virginia Raggi invece propone a, per ora, circa venti famiglie di svolgere senza nessuna controparte in denaro delle mansioni – che inoltre dovrebbero essere regolarmente retribuite dalle istituzioni – per avere poi in cambio generi di prima necessità.

Il  corollario che segue è che il Comune fuori da questo ricatto non è in grado di garantire ai propri abitanti l’accesso nemmeno ai beni primari. Un fallimento totale.

Come se non bastasse, questa misura non potrà in nessuna maniera indirizzare le famiglie coinvolte in un percorso di emancipazione dalla povertà. Non c’è stabilità nello sfruttamento proposto dal Campidoglio, ma solo la supponenza padronale e classista tipica della concessione delle briciole ai dannati della terra.

L’amministrazione 5 Stelle raggiunge così il triste primato di “superare a destra” anche l’idea targata Bonaccini-Bellanova di inviare nei campi, vuoti dei lavoratori immigrati che solitamente si spaccavano la schiena 12 ore al giorno per circa 25€, i percettori del Reddito di cittadinanza (o i maturandi una volta terminato l’anno scolastico).

Se questa infatti è una forzatura (comunque gravissima) sull’impianto delle politiche attive già esistenti e stabilite dall’ex governo giallo-verde, la misura della Raggi impone il baratto come “remunerazione” del lavoro, che di fatto lavoro, in quanto scambio della forza-lavoro per un salario, non è più.

Alla luce della crisi economico-sociale alle porte, un salto di qualità decisamente preoccupante.

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1 Commento


  • Pietro Nicola Gregorace

    Quello che c’è di inaccettabile, è il BARATTO LAVORO-ALIMENTI.
    Quello che è indegno, le casse vuote del Comune della Capitale, a fronte dalla mafiosità scandalosa che lo ha dominato finora.
    L’indegnità consiste nel raffronto tra ricchezza enorme e profitti alle stelle, e disoccupazione e miseria per migliaia di famiglie.
    Il mio parere è superare il concetto di elemosina, umiliante. Partecipazione al lavoro e dignità del compenso del lavoro.
    Si, lavoro al posto del reddito di cittadinanza. Con soldi contanti, o anche assegni bancari, come quelli degli accumulatori di profitti.
    Lavori per la città, per le bellezza della città, per il superamento delle disastrose periferie riservate ai poveri.Case nel centro della città, per tutti. Con l’obbiettivo di mandare in periferie lontane lor signori dei profitti, finché non possano più ritornare in mezzo ai piedi.

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