Iniziamo a pubblicare – con cadenza ogni tre/quattro giorni tra un intervento ed un altro – una serie di veloci Interviste con compagni ed attivisti politici e sociali che sono stati impegnati in “prima fila” sul versante del conflitto e delle mobilitazioni sia nei mesi del lockdown e, ancora di più, in questa cosiddetta Fase 2 dell’emergenza Covid 19.
Cominciando con il compagno Roberto Montanari, di Piacenza, dirigente sindacale USB del comparto Logistica con il quale facciamo un punto politico/pratico della situazione e delle possibili prospettive di questo significativo comparto della Catena del Valore.
La redazione del sito della Rete dei Comunisti.
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L’esplosione della crisi pandemica ha riproposto – particolarmente durante il periodo del lockdown – la questione delle condizioni di vita e di lavoro degli addetti della Logistica. Abbiamo visto proteste, scioperi ed episodi di repressione aziendale e statale. Ci puoi descrivere, dal tuo punto di osservazione, lo stato della categoria e i nuovi problemi che il palesarsi di questa crisi ha squadernato?
La diffusione del contagio da Covid-19 particolarmente nei distretti industriali del nord, quelli ad alta concentrazione di logistica, ha fatto il paio con le emergenze generate dai decreti Salvini. Questi due eventi catastrofici hanno avuto come corollario l’affermazione di una tendenza padronale all’intensificazione della ricerca del massimo profitto accompagnata da una torsione autoritaria e ricattatoria.
E’ innegabile che l’emergere del volto primitivo e brutale del capitale unitamente al dilagare di un male al momento non governabile abbiano prodotto tra i lavoratori un sentimento di forte precarietà e paura alle quali, tuttavia, si è risposto con forme anche inedite di conflitto e resistenza.
Praticamente la movimentazione delle merci non si è mai arrestata. L’ipocrisia dei decreti ministeriali ha concesso ai padroni della logistica una deroga ai divieti prevedendola dapprima per il codice Ateco 52 “Magazzinaggio e attività di supporto ai trasporti” (allegato 1 del DPCM dell’11/03/2020) e poi introducendola per il commercio di qualsiasi prodotto acquistato on line (art. 1 lett. A) DPCM del 22/03/2020). Tali espedienti hanno permesso di neutralizzare il principio che fossero consentite solo le attività produttive di beni essenziali o servizi di pubblica utilità.
Vi è stata comunque una riduzione dei volumi di lavoro dovuta alla chiusura degli esercizi commerciali, che le parti datoriali hanno gestito con un uso distorto sia degli ammortizzatori sociali che con le ferie forzate; sicché oggi abbiamo centinaia di migliaia di facchini che percepiranno in questo periodo una media di poco più di 700 € al mese, poiché la cassa integrazione o il fondo di integrazione salariale (quando è a zero ore) non eroga oltre quella cifra ed in più questi lavoratori non avranno la possibilità di avere ferie retribuite nella prossima estate, avendole già esaurite.
La richiesta ossessiva di un incremento di produttività individuale, la cinica avarizia nella distribuzione dei dispositivi di protezione, il mancato rispetto del distanziamento sociale, hanno però trovato risposta tanto negli scioperi tradizionali, quanto in pratiche di conflitto nuove come quella che abbiamo definito: “messa a disposizione” in attesa dell’attuazione delle misure di sicurezza.
I lavoratori, cioè, utilizzando i presupposti del decreto legislativo 81/2008 in materia di tutela della salute e della sicurezza si presentavano regolarmente sul posto di lavoro, ma in assenza di mascherine, gel, corretta sanificazione dei locali e delle dotazioni ecc., incrociavano le braccia dichiarandosi disponibili a riprendere il lavoro solo dopo che fossero stati soddisfatti i protocolli di sicurezza.
Di fatto uno sciopero, però con la retribuzione.
Gli scenari del futuro prossimo parlano di una riduzione del 20% della mano d’opera (il personale a tempo determinato), di un impoverimento per il differenziale salariale dovuto agli ammortizzatori sociali, di un degrado del tempo di vita (mancanza di ferie), di un corpo a corpo per difendere la sicurezza (distribuzione mascherine ecc.), con la mano pesante dell’autoritarismo che vieta le assemblee e non risparmia i licenziamenti punitivi. Ci sarà un’estate calda.
Come avete affrontato, in termini sindacali e di concreta attività per difendere i lavoratori, questa inedita condizione del conflitto alla luce delle conseguenze della pandemia e, sicuramente, dell’aumento del volume delle vendite che hanno interessato, ad esempio, società come Amazon ed altre?
Abbiamo agito i due temi di fase dello scontro di classe nei magazzini: la connessione tra questione della sicurezza sanitaria e questione sociale. La lotta per la mascherina unita alla lotta per il salario e il posto di lavoro, passando per la ridefinizione del tempo.
Difendere dal contagio magazzinieri e corrieri significa pretendere i dispositivi di protezione, la sanificazione dei locali, delle rulliere, dei carrelli, delle pistole per il picking, il distanziamento tra le persone, ma per realizzare tutto ciò occorre intervenire su un fattore fondamentale: il tempo di lavoro.
Non si resiste otto ore a sollevare tonnellate di merce con un bavaglio che filtra davanti a bocca e naso, occorrono più pause. Bisogna entrare ed uscire dal lavoro, dalla mensa, dalla saletta del caffè, stare innanzi ad una ribalta in un numero inferiore di persone rispetto a prima per evitare l’affollamento.
Occorre sanificare il luogo di lavoro ad ogni cambio di turno. Tutto ciò si può realizzare solo ed unicamente se si riduce il tempo di lavoro a parità di salario per consentire con la turnazione il distanziamento e tale scelta è l’unica che potrà garantire i lavoratori rispetto le mire di tagli occupazionali.
Il paradosso è infatti rappresentato dal fatto che gli operatori della logistica dichiarano una situazione di crisi per giustificare i licenziamenti, mentre i loro centri studi prevedono al contrario situazioni ben più favorevoli.
Il rapporto di Prologis (leader mondiale nel segmento immobiliare della logistica) sull’impatto del Covid-19 nel settore parla di una “resilienza degli immobili logistici” dovuta a tre tendenze già in atto: 1) l’aumento dei livelli delle scorte per contrastare sia le pandemie che le ricorrenti catastrofi naturali, 2) la crescita esponenziale dell’e-commerce, 3) la diversificazione dei luoghi di produzione per superare la debolezza delle concentrazioni in poche aree del mondo e avvicinare i siti produttivi ai punti di consumo.
Stanno forse costruendo capannoni per lasciarli vuoti???
L’altro grande obiettivo riguarda la difesa del potere di acquisto in una situazione che si caratterizza per i fenomeni di speculazione ed aggiottaggio (ricordiamoci l’odioso rincaro dell’Amuchina operato da Amazon nei primi giorni di epidemia…).
La richiesta di USB è che il differenziale di salario per coloro che hanno usufruito degli ammortizzatori sociali venga corrisposto dalle aziende.
Ciò non è facile da ottenere, ma siamo determinati a farne una rivendicazione da sostenere anche quando sarà finita l’emergenza se non l’avremo soddisfatta nel frattempo.
Dal mese febbraio ad oggi abbiamo proposto questa piattaforma, l’abbiamo discussa con centinaia di lavoratori, abbiamo organizzato gli scioperi di tutela, abbiamo continuato a negoziare ed ottenuto i primi risultati.
Solo dopo la nostra diffida spedita a tappeto in tutte le aziende, alle Prefetture, alle Aziende Sanitarie, agli ITL, abbiamo visto i magazzini cominciare a mettersi in regola, ma la natura parassitaria e stracciona del capitalismo italiano non ci consente di abbassare la guardia perchè per lorsignori il risparmio sul costo di una mascherina vale ben di più dell’integrità fisica di una madre o un padre di famiglia.
Oltre ad essere un dirigente sindacale dell’Unione Sindacale di Base sei un compagno comunista che prova ad incasellare la questione della Logistica nella moderna catena del valore del capitale. Da questo punto di vista un contributo notevole ci viene da Marx e dagli studi di critica dell’economia capitalistica. Marx – come è noto – dedica il Primo Libro delCapitale alla descrizione del pluslavoro e si concentra nel Secondo Libro sul processo di circolazione successivo al processo di produzione. Questa periodizzazione fa emergere una nuova variabile di valorizzazione per il capitale: il coefficiente di rotazione!
Se – quindi – la moderna logistica si è sviluppata per valorizzare una certa unità di tempodelle merci prodotte è inevitabile che nei magazzini tale dinamica deve comportare un taglio feroce del costo del lavoro. Se – sinteticamente – questo impianto teorico è corretto come si può incuneare, in tale comparto, una prospettiva di lotta e di trasformazione politica e sociale che provi a “ricomporre produzione e circolazione” incidendo, per davvero, nei meccanismi di valorizzazione e sfruttamento del capitale?
L’unica differenza che possiamo riscontrare da quando Marx scrisse del tempo di rotazione del capitale ad oggi sta nella contrazione dei cicli dovuta all’evoluzione tecnologica; per il resto le Sue riflessioni teoriche sono di una scientificità e attualità impressionanti.
Nella logistica moderna, nella sua segmentazione all’interno del processo di valorizzazione viene esaltata al parossismo la contrazione dei tempi occorrenti alla realizzazione dei cicli, cioè alla durata del processo periodico nel quale il capitalista anticipa il suo capitale per valorizzarlo e riottenerlo nella forma originaria.
Marx dice più o meno (non letteralmente) che se la ripetizione del ciclo va per le lunghe o si interrompe il capitale “DEPERISCE”.
Già questo ci dice di che arma il movimento operaio disponga nella logistica che è componente di quel “tempo di circolazione” che è comprimibile.
L’altro segmento della catena del valore che sta dentro il tempo di circolazione è rappresentato dalla distribuzione che è però più subalterna ai tempi del mercato; ma produzione e movimentazione possono essere accorciate per far tornare prima nelle tasche del padrone i soldi che ha anticipato e che rischiano di “deperire”.
Un terreno di scontro fondamentale con il capitale sta pertanto nell’antagonismo tra la riduzione del tempo di rotazione o quella del tempo di lavoro.
Il contenimento del costo è un fine importante per il capitalista, gli consente di contrastare la caduta tendenziale del saggio di profitto, ma la velocità con cui si produce il mutamento di forma di quanto anticipato sembra essere forse più importante; azzardo questa suggestione pensando a quanto vedo quotidianamente nei magazzini, agli incentivi dati magari in nero (certo per risparmiare), ma per correre di più.
Il porto di Genova viene scelto, anche se i tempi di sdoganamento italiani sono un po’ più lunghi di quelli europei, perché comunque le merci che dall’Oriente devono andare nel nord Europa impiegano meno tempo nel trasferimento su gomma che nella prosecuzione via mare verso Rotterdam, sebbene questa tappa comporti un lieve incremento nei costi.
Insomma il TEMPO mi sembra un grimaldello utile a scardinare i meccanismi di valorizzazione e sfruttamento.
Il tema della ricomposizione di classe nella catena del valore credo possa essere agito a partire da un’intuizione, tutta da approfondire e articolare, che sta nelle riflessioni attuali di USB e che attengono all’Intervento Pubblico nell’economia.
L’epidemia ha messo in luce gli elementi di fragilità e di inadeguatezza del modello economico e sociale del capitale: lo smantellamento della sanità pubblica, l’indebolimento delle funzioni di controllo sul lavoro, la sospensione dei diritti democratici, lo squilibrio nell’approvvigionamento dei beni di prima necessità.
Dal che emerge il bisogno di una pianificazione economica pubblica che per la logistica significa attuazione di una intermodalità in cui, ad esempio, tutto il trasporto, da quello su ferro, a quello aereo, alla portualistica siano nelle mani dello stato che orienta quanto prioritariamente debba muoversi nel nostro paese mentre per il resto delle produzioni occorre un indirizzo che combini la soddisfazione dei bisogni sociali, della tutela dell’ambiente coi diritti democratici abolendo il sistema malato degli appalti e della precarietà.
Insomma ragioniamo sul come “tutto NON dovrà più essere come prima” per dare più benessere e più potere ai facchini e a tutti gli altri loro fratelli proletari.
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