Dopo due mesi di colpevole silenzio, finalmente vengono stanziati finanziamenti e presi provvedimenti sull’Università, grazie anche alle mobilitazioni di studenti e studentesse.
A primo impatto non si può che valutare come giuste delle misure che vanno in controtendenza rispetto agli ultimi 10 anni di tagli lineari all’istruzione e che hanno spinto l’Italia come fanalino di coda in tutte le classifiche per investimenti sostenuti.
Una decisione che ci conferma che esistono alternative e che le regole che fino a qualche mese fa sembravano leggi sacre e inviolabili possono essere sospese se c’è la volontà politica di farlo.
Tuttavia, non riteniamo sia assolutamente il caso di cantare vittoria.
Questo perché da un lato queste misure vengono presentate come emergenziali e non strutturali, dall’altro lato non mettono in discussione ma anzi rafforzano una cornice istituzionale che favorisce atenei di serie A rispetto a quelli di serie B accentuando differenze territoriali e sociali. Inoltre, perché non si prevede un sostegno di tipo organico alle numerosissime difficoltà che come giovani ci troviamo ad affrontare.
Andiamo ad analizzare brevemente le bozze che circolano in queste ore online, nelle quali vengono previsti stanziamenti di:
- 62 milioni per l’acquisto di dispositivi informatici o risorse bibliografiche per la didattica a distanza, come se il “digital divide” fosse solo un problema tecnico e non culturale e sociale. Tra l’altro si vanno ponendo le basi per concepire come perenne la didattica a distanza, la quale rafforza la conoscenza nozionistica e porta all’indebolimento delle università di serie B;
- 165 milioni per il Fondo per il finanziamento ordinario delle università (più 8 per le Afam) per gli esoneri, totali o parziali, dei contributi studenteschi. Tuttavia, solo tra 60 giorni verranno individuate le modalità di definizione di questi esoneri, mentre incombe sulle nostre teste il pagamento dell’ultima rata in scadenza a fine maggio/inizio giugno;
- 40 milioni per le borse di studio destinati prioritariamente agli studenti che risultano idonei e solo successivamente per coloro che hanno i requisiti ma che non sono riusciti a rispettare i criteri di merito. Vengono quindi confermate le già assurde richieste di merito e completamente ignorate le difficoltà che stanno vivendo gli studenti sia per problemi economici (per mancanza di dispositivi o di una rete internet adeguata), sia per problemi logistici (per la chiusura delle biblioteche o dei laboratori), sia per problemi psicologici legati alla difficile situazione;
- 15 milioni per i dottorandi dell’ultimo anno con cui prorogare di due mesi i contratti scaduti. Nessun riferimento ai dottorandi del primo e secondo anno, come se questi non avessero avuto le stesse difficoltà a portare avanti il progetto di ricerca;
- Zero soldi per la proroga della durata degli assegni di ricerca, lasciando la scelta alla discrezionalità agli atenei e nei limiti delle risorse relative ai rispettivi progetti di ricerca o, comunque, nell’ambito delle proprie disponibilità di bilancio. Ciò evidentemente accentua chi può e chi non può permetterselo;
- 200 milioni a decorrere dal 2021 per assumere 3.333 ricercatori, che si vanno ad aggiungere ai 1.607 ricercatori, la cui assunzione è stata già disposta. Si tratta sicuramente dell’aumento maggiore di assunzione degli ultimi anni, ma è una goccia nell’oceano se consideriamo che negli ultimi 10 anni l’università italiana ha perso 10.000 ricercatori, che ogni anno ci sono circa 1.200 pensionamenti, che in attesa ci sono 4.000 ricercatori a tempo indeterminato più altri 13.000 assegnisti, oltre quelli sono usciti dal sistema ma aspettano da anni di rientrarci. Inoltre, se si mantengono inalterati i criteri di assunzione e il blocco del turnover, queste nuove assunzioni sono destinate solo agli atenei di serie A e nelle materie di più immediato riscontro economico.
A queste considerazioni di carattere specifico sul diritto allo studio dobbiamo poi aggiungere la totale assenza di una visione di insieme sulla difficilissima situazione che si trovano a vivere i giovani. Dal contributo per gli affitti di solo 140 milioni, all’assenza della sospensione del pagamento delle utenze, alla rimessa in discussione dello scopo e del contenuto dell’istruzione.
Se quindi ora siamo tutti d’accordo che bisogna investire sull’università e sui giovani, dobbiamo ora discutere sulla destinazione della spesa nella consapevolezza che abbiamo bisogno di risposte strutturali e che non dobbiamo arretrare sulle nostre richieste di un ripensamento totale del ruolo dell’Università e della società.
Altro che vittoria, la lotta è appena iniziata! Domenica 17 maggio, ore 17:00, assemblea nazionale Tasse universitarie. Se nessuno ci ascolta, organizziamoci per bloccarle!
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