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Il vero problema è che nessuno parla più dei tagli alla sanità pubblica

Uno dei metodi più funzionali ad eliminare un problema è quello di non parlarne più. Un assunto che può sembrare banale, ma che è profondamente vero. Quanti piccoli problemi quotidiani, ad esempio, cessano di essere – appunto – un problema semplicemente rimuovendone la narrazione? Pensateci: pensate a quante volte vi capita.

Un metodo che funziona, ma che ha una controindicazione. Perché il problema, nel frattempo, mica si risolve! Finisce in una sorta di limbo. A quel punto, se siamo fortunati, avviene qualcosa che lo risolve per noi. Altrimenti si ripresenta. Senza dubbio.

E’ un po’ quello che sta avvenendo in Italia con la sanità pubblica: vi ricordate in che maniera se ne parlava, anche fino ad un mese fa? Infermieri e medici eroi, posti in terapia intensiva da aumentare, assunzioni di personale sanitario assolutamente indispensabili, tagli alla sanità come maledizioni che si stavano abbattendo sul popolo italiano.

Un dibattito assolutamente sensato, visto che al momento dell’arrivo della pandemia in Italia potevamo contare su poco più di 5.300 posti di terapia intensiva. Per un paese di circa 60 milioni di abitanti, significa che per ogni 11.321 abitanti c’è un posto in terapia intensiva.

Giusto? Sbagliato? Letta così, sembra una quantità bassissima: sopratutto per un paese con età media molto alta, ed in fase di impoverimento ormai da almeno un decennio (il che significa meno soldi da spendere in sanità privata).

In ogni caso, la situazione oggettiva ha espresso il suo verdetto: in relazione alla pandemia, quei posti non erano soltanto pochi. Erano drammaticamente pochi, ed hanno gettato tutto il sistema sanitario in una crisi che sembrava a volte ingestibile.

E infatti c’è voluto un lockdown – evento clamoroso e rarissimo, in una società moderna – per gestire gli effetti del coronavirus. Il motivo di questa situazione drammatica (per quasi due mesi l’Italia è stata il primo paese al mondo per numero di morti e di contagi) fu attribuito all’inadeguatezza del nostro sistema sanitario pubblico. Specificare “pubblico” forse è inutile, perché – e sono sempre i fatti a parlare – la sanità privata, in questa emergenza, si è dimostrata fondamentalmente inutile.

Quando si tratta di salvare la vita della gente in maniera universale e non di vendere prestazioni mediche, la sanità privata non serve a niente.

Il virus è piombato sul nostro paese con una sanità pubblica – l’unica, dunque, a poter opporre una resistenza all’aggressione della malattia – che aveva subito tagli enormi nel corso degli ultimi anni.

E tutti ne parlavano: ad esempio il Corriere della Sera, che in un articolo del 31 marzo testualmente affermava: «Fino a fine febbraio, quindi, l’Italia disponeva di 8,58 posti di terapia intensiva ogni 100 mila abitanti. Gli ultimi dati di confronto europei li ha pubblicati nel 2012 la prestigiosa rivista Intensive care medicine.

Otto anni fa in Italia i posti di terapia intensiva erano 12,5 ogni 100 mila abitanti contro i 29,2 della Germania e i 21,8 dell’Austria. D’altronde nel 2016, stando agli ultimi dati Istat disponibili, la Germania destinava alla Sanità il 165% di fondi pubblici in più di noi (con il 35% in più di abitanti), la Francia il 90% in più (con il 9,8% in più di abitanti) e la Gran Bretagna il 66% in più (con l’8% in più di abitanti). In pratica mentre noi spendevamo 1.844 euro ad abitante, la Francia ne spendeva 3.201, la Germania 3.605 e la Gran Bretagna 2.857».

L’articolo, a firma di Domenico Affinito, indicava anche i responsabili di questo scempio: «Quello della spesa sanitaria è uno dei nodi centrali di questa storia. Dal 2001 a oggi il fabbisogno sanitario statale in termini assoluti è quasi sempre aumentato, passando da 71,3 miliardi nel 2001 a 114,5 nel 2019. Se dieci anni fa i 105,6 miliardi di euro erano il 7% della ricchezza nazionale, nel 2019 i 114,5 miliardi erano il 6,6%: un taglio dello 0,4% del Pil in 10 anni che porta la firma dei governi Berlusconi IV, Monti, Letta, Renzi, Gentiloni, Conte.

Secondo il rapporto della Fondazione Gimbe “il definanziamento 2010-2019 del Servizio Sanitario Nazionale» la situazione è ancora più complessa: «Nel decennio 2010-2019 – si legge nel rapporto – il finanziamento pubblico del Ssn è aumentato di 8,8 miliardi di euro, crescendo in media dell 0,9% all’anno, un tasso inferiore a quello dell’inflazione media annua pari a 1,07%”.

Quindi è cresciuto in termini assoluti, ma meno dell’inflazione. Non solo, in più ci sarebbero altri 37 miliardi di euro totali di finanziamenti promessi negli anni dai governi e non realizzati o ridotti: circa 25 miliardi nel 2010-2015 per tagli conseguenti a varie manovre finanziarie e oltre 12 miliardi nel 2015-2019 quando, per esigenze di finanza pubblica, alla Sanità sono state destinate meno risorse di quelle programmate e cioè calcolate sul fabbisogno.

I fondi promessi rispetto al fabbisogno e non dati: 8 miliardi decisi dal governo Monti (Finanziarie 2012 e 2013); 8,4 decisi dal governo Letta (Finanziaria 2014); 16,6 decisi dal governo Renzi (Finanziarie 2015, 2016 e 2017); 3,1 decisi dal governo Gentiloni (Finanziaria 2018) e 0,6 decisi dal governo Conte (Finanziaria 2019)».

Citiamo il Corriere della Sera perché è il più importante giornale in Italia, ma del rapporto tra tagli alla sanità pubblica e lo stato di assoluta emergenza procurato dal coronavirus in Italia ne parlavano quasi tutti: Repubblica, Il Fatto Quotidiano, Report e molti altri.

Man mano che la situazione andava migliorando (e succedeva, ripetiamo, solo grazie ad un lockdown), il tema è iniziato a diradarsi, fino a sparire. Forse perché non faceva più notizia, chissà. E dire che l’entità dei tagli alla sanità, in 10 anni, ammonta a 37 miliardi. La stesa cifra che il famigerato Mes metterebbe a disposizione ora per le sole spese sanitarie nella gestione della crisi…

Ma  il fatto che decine di migliaia di persone siano morte a causa anche di scelte politiche non è una notizia? E’ un “titolone” da sparare sempre, per ricordare a tutti cosa è successo, e per colpa di chi. Non dovrebbe essere questo, il ruolo della stampa? Il “cane da guardia” della democrazia?

Lo so che vi viene da ridere, guardando le condizioni dell’informazione mainstream. Ma è un problema, se a fare giornalismo sul serio siano solo le testate indipendenti, davvero indipendenti, e per questo solitamente piccole.

Perché ora l’attenzione di tutti è sulla situazione economica, sui soldi che dovrebbero arrivare dall’Europa, sui tagli alle tasse. Ma di rifinanziare la sanità pubblica per renderla davvero a disposizione di tutti, e non di pochi, ne vogliamo continuare a parlare?

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