Il Tribunale di Milano ha disposto l’amministrazione giudiziaria, ossia il commissariamento, di Uber Italy srl, la filiale italiana del gruppo statunitense, con l’accusa di caporalato. In particolare i magistrati indicano per lo sfruttamento dei rider addetti alle consegne di cibo per il servizio Uber Eats. Ma su Uber Italy è in corso anche un’indagine condotta dalla Guardia di Finanza .
Nell’inchiesta, che ha portato ad una serie di perquisizioni, viene contestato il reato previsto dall’articolo 603bis del codice penale, ossia la “intermediazione illecita e sfruttamento del lavoro” per la gestione dei fattorini che fanno le consegne di cibo a domicilio per il servizio Uber Eats. Fattorini che, stando a quanto ricostruito, formalmente non lavorano per Uber ma per altre due società di intermediazione del settore della logistica, tra cui la Flash Road City che risulta indagata nel procedimento.
“La mia paga era sempre di 3 euro a consegna indipendentemente dal giorno e dall’ora” ha denunciato e messo a verbale un rider che ha lavorato per il servizio Uber Eats. In un’altra denuncia sono riportate le minacce dei datori di lavoro: “Da noi non lavorerai, perché ho bloccato il tuo account”, dice il responsabile in una conversazione con un rider avanzando anche minacce: “Ho solo minacciato di venirti a rompere la testa e lo ribadisco (…) ti vengo a prendere a sberle, ti rompo il c…”.
I giudici parlano anche di sottrazione legalizzata’ delle mance e punizioni economiche per i rider. Per i giudici di Milano, Uber, attraverso società di intermediazione di manodopera, avrebbe sfruttato migranti provenienti da contesti di guerra, “richiedenti asilo” e persone che dimoravano in “centri di accoglienza temporanei” e in “stato di bisogno”.
La multinazionale Uber, ovviamente, scarica ogni responsabilità sulle sue diramazioni locali e formalmente indipendenti.
E’ proprio il meccanismo delle piattaforme e della logistica a consentire questi giochetti, lo scaricabarile e la deresponsabilizzazione del centro direttivo della filiera. “Uber Eats ha messo la propria piattaforma a disposizione di utenti, ristoranti e corrieri negli ultimi 4 anni in Italia nel pieno rispetto di tutte le normative locali. Condanniamo ogni forma di caporalato attraverso i nostri servizi in Italia” si legge in una nota del gruppo multinazionale dopo il commissariamento di Uber Italy da parte del Tribunale di Milano.
La magistratura dunque ha messo il dito nel verminaio, così come avvenuto in casi analoghi nel mondo della logistica. E qui si pone il problema di fondo, anzi i problemi.
Uno di questi è già visibile. La totale deregolamentazione del mercato del lavoro, consente ai grandi gruppi di esternalizzare funzioni e responsabilità in filiere che vengono in gran parte gestite da società o cooperative che adottano il caporalato come norma e non come eccezione.
L’aver eliminato quelli che vengono liquidati come “lacci e lacciuoli” che impedirebbero la libertà di impresa, ha liberato la strada alla moderna schiavizzazione della forza lavoro, soprattutto nei settori in espansione come quello della circolazione delle merci (distribuzione, logistica etc.). In questo settore è sufficiente grattare appena un po’ sotto la superfice per scoprire il verminaio di sfruttamento, illegalità, sistemi intimidatori da parte dei datori di lavoro.
Il secondo problema, per ora meno visibile ma incombente, riguarda le condizionalità degli aiuti europei messi in campo per l’emergenza coronavirus. Colpisce molto il fatto che tra le riforme prioritarie che l’Italia dovrebbe adottare per stare nei parametri dei finanziamenti europei, ci sia la “riforma della giustizia”.
Che ai tecnocrati europei stiano a cuore le aule o le cancellerie dei tribunali, le condizioni delle carceri e dei detenuti, i tempi del codice di procedura penale, ci riesce francamente molto strano. Ragione per cui ci sorge il dubbio, che le istituzioni europee puntino ad una riforma della giustizia in Italia che riduca al minimo le possibilità della magistratura di intervenire sulla “libertà d’impresa”, magari per ragioni ambientali o violazioni dei diritti dei lavoratori e delle comunità.
Insomma incursioni della magistratura come quella contro Uber o sull’ex Ilva di Taranto, non saranno più gradite dagli investitori esteri in Italia. Questi vogliono mano libera per fare quello che vogliono, senza “lacci e lacciuoli” che consentano ad un giudice o ad un ispettore del lavoro e ambientale di mettere il naso nelle attività imprenditoriali, specie in quelle di multinazionali che sono abituate a fare il loro comodo nei paesi che hanno reso subalterni e forza di austerity, delocalizzazioni, deregolamentazione del mercato del lavoro.
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